Arva, il cuore di Venezia

Il ristorante dell’Aman Venice, bellissimo albergo che costituisce un’isola di pace a due passi dal Ponte di Rialto, propone la cucina di Matteo Panfilio, che punta sugli ingredienti del territorio (i pesci della laguna, le verdure degli orti locali) messi al servizio di un menu italiano in purezza, che adotta i codici del fine dining ma non rinuncia alla pienezza del sapore

Arva, il cuore di Venezia
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Un sogno nel sogno. Questo è l’Aman Venezia, uno dei due alberghi italiana della catena di resort di lusso fondata dall’indonesiano Adrian Zecha e oggi con sede in Svizzera. Il primo sogno è Venezia, naturalmente. Il secondo è questo luogo appartato pur se al centro della città lagunare (è a poca distanza dal Ponte di Rialto), che ha trovato ospitalità in un magnifico palazzo veneziano costruito nel 1570 sulle sponde del Canal Grande e che è stato anche di proprietà della famiglia di Giovan Battista Tiepolo, che ne ha affrescato alcuni ambienti (come del resto il Sansovino). Un luogo che ha un rapporto di continuità con la sua storia: all’ultimo piano vivono ancora i conti Arrivabene, che acquistarono il palazzo per ragioni matrimoniali dalla famiglia Papadopoli, e il restauro eseguito nel 2013 da Aman, e curato dal Jean-Michel Gathy, ha rispettato l’identità degli ambienti, integrando alla perfezione gli standard di altissimo livello del comfort Aman con il genius loci. A cui peraltro rende omaggio anche la carta dei drink del magnifico bar guidato dal manager Antonio Ferrara, di cui vi ho raccontato a suo tempo.

Oggi è l’occasione per parlare invece del ristorante dell’hotel, l’Arva, che si distende in sale di differente ma comunque notevole bellezza. Ne è chef Matteo Panfilio, piemontese di Tortona, che come tanti altri suo colleghi deve la sua passione per la cucina ai gesti bianchi (di farina) osservati della nonna. Poi naturalmente tutto il resto del lavoro è stato il suo. Oggi la sua cucina mette l’indubbia tecnica maturata nel corso di esperienze in diversi stellati (il Bellevue dell’hotel Metropole di Taormina, Da Vittorio a St. Moritz) e al servizio di chef di vaglia come Gordon Ramsay, Tristan Mason e Alberico Penati. Per la sua cucina Panfilio si serve per lo più da artigiani locali, anche grazie alla sensibilità maturata crescendo nella azienda agricola della sua famiglia. In termini stilistici la cucina di Panfilio è chiaramente italiana, mette a frutto i codici del fine dining contemporaneo rifuggendo però da soluzioni troppo cervellotiche; del resto all’Aman la clientela è per buona parte composta da stranieri che hanno piacere a scoprire i sapori mediterranei mettendo un po’ da parte l’avanguardia.

Nella mia cena da Arva ho assaggiato alcuni piatti presenti nell’attuale menu e altri che entreranno a far parte del prossimo. Tra questi ultimi il piatto iniziale, la Ceviche di capasanta con leche de tigre, caviale oscietra trevigiano, dove il contrasto tra la carnosità sontuosa dell’ingrediente principale e l’acidità scudisciante della sala funziona. Poi ho assaggiato dei Casoncelli (pasta ripiena lombarda che qui però trova spazio per la sua forma a gondola) con scampi, una bisque allo zafferano e pistacchi. Notevole anche la Frittura di pesce locale, francamente irresistibile (ma è una mia passione, quindi non sono obiettivo). Tra i secondi in menu la Rana pescatrice in guazzetto con cozze e vongole e l’Entrecote di manzo alla brace con babaganoush di melanzane e salmoriglio. A fare da anello di congiunzione tra la parte salata del mio pasto e quella dolce un Sorbetto all’acqua con passion fruit, poi un dessert a base di Cioccolato bianco vegano (l’Amatika Valrhona) con parfait di mandorla, gru di cacao, sorbetto mandorla e acqua e albicocche. Assaggio anche una Lemon tart rivisitata con bergamotto, canditi, sablé breton e sorbetto al lime.

La

cantina è piuttosto ricca e varia, attrezzata per un pairing all’altezza. Il servizio scorre fluido ed elegante. Come scorre, oltre la finestra, il Canal Grande che da solo riempie gli occhi di bellezza e il cuore di grandezza.

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