«Cuffaro sapeva di aiutare la mafia con le soffiate ai boss sotto indagine»

Sono «molteplici» i rapporti intessuti dall’ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro con «vari esponenti» mafiosi, a partire dal 1991 quando, insieme all’attuale ministro dell’Agricoltura Saverio Romano, incontrò Angelo Siino, il cosiddetto ministro degli appalti di Cosa Nostra per chiedergli «sostegno elettorale», beccandosi - per questo - un rimprovero dall’ex ministro democristiano Calogero Mannino, allora suo leader di riferimento. Lo dice la Corte di cassazione nella sentenza 15583 che, in 215 pagine contiene le motivazioni del sì definitivo alle condanne per gli undici imputati del processo «Talpe alla Dda», tra le quali, appunto, Cuffaro. In circa 80 pagine, i supremi giudici arrivano alla conclusione che - dalla lettura congiunta del verdetto di primo grado e da quella del secondo, che ha elevato da cinque a sette anni la condanna per Cuffaro contestandogli l’aggravante del concorso esterno - per più di vent’anni l’ex governatore ha avuto, fino al 2003, rapporti con esponenti legati ai clan mafiosi ripetendo gli stessi comportamenti. Con «l’atteggiamento psichico» di chi è consapevole che quando rivela, tramite Domenico Miceli, al boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro che su di lui ci sono indagini e cimici in casa, di «agevolare», con la sua soffiata del 15 giugno 2001, «l’intera associazione criminale».

In realtà la Cassazione parla di vero e proprio «controspionaggio», reso possibile da «traditori» come il maresciallo del Ros Antonio Borzacchelli . Un aiuto analogo non sarà lesinato nell’ottobre 2003 da Cuffaro all’imprenditore Michele Aiello .

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