Cugia e la difficile integrazione di un apocalittico professionista

L’ideatore dello show ha scelto un titolo troppo vincolante per il sabato sera, ma anche il conduttore non ha trovato la misura giusta

Probabilmente il ventisei di maggio il mondo continuerà a vivere. Male, ma continuerà. Sicuramente il ventisei di maggio Funari & Cugia dovranno cercarsi un’isola (Alcatraz?) degli ex famosi sulla quale approdare per trascorrere ore meno apocalittiche di quelle attuali. Raiuno sta conoscendo la propria Corea, per i contemporanei sarebbe l’1 a 7 della Roma all’Old Trafford di Manchester. Il campo ha dato un risultato netto, trattasi di sconfitta, di tracollo, di flop anche se il capo della Rete va diritto, come gli appartiene per educazione (!) culturale.
Giù le mani dalla trasmissione, dunque, ma qualcuno salvi il soldato Diego, l’autore indiscutibile e indiscusso, l’uomo che un giorno affermò di non essere interessato dalle storie se non nell’antefatto e nel mistero dopo la fine. Il problema è che il filosofo della solitudine ci ha sbolognato la parte di mezzo della suddetta storia, questo spettacolo che si trascina-trascinando anche tutti i suoi partecipanti, intossicando anche Mike e Rezza, fuoriclasse provenienti da terre tra loro distanti, cercando poi la salvezza nelle canzoni, da Berry a Bennato, finalmente riaccendendo i lampadari dopo il buio funebre di esordio ma restando in penombra (absit iniuria). Dopo due puntate non c’è molto da aggiungere: hanno scherzato, ci siamo sbagliati, non era una cosa seria, sono stati due numeri zero senza la prospettiva di andare mai in edicola.
Qualcuno obietterà che i precedenti televisivi testimonierebbero a favore dell’autore. Celentano e Morandi per dire. A parte il fatto che nel caso di Morandi gli ascolti non sono stati caldissimi, dovremmo a questo punto mutuare alcune considerazioni che sono spesso riservate al gioco del football; per esempio si ricorda che gli allenatori possono essere esperti, di fama e di moda ma le grandi partite si vincono anche con i colpi (di fortuna) dei calciatori.
Stavolta l’attaccante Funari non ha azzeccato nemmeno un tiro ma l’allenatore ha contribuito sbagliando lo schema di gioco, sopravvalutando i propri mezzi e sottostimando l’avversario. Se Gerry Scotti fa il 33 per cento di share con uno spettacolo nato in radio e traslocato in tv, significa forse che al sabato sera il popolo pubblico ha voglia di far riposare il cervello e non sottoporlo a un conto alla rovescia o a riflessioni sulla morte prossima. L’impegno e la generosità degli altri attori finisce ai margini, il contributo dei cantanti, nazionali ed esteri, incide più sul budget che sugli ascolti. Il totale è davvero apocalittico per tutti, tranne per chi ha deciso di stare da parte, solitario, come gli accade anche nel quotidiano, per natura.
Fabrizio Del Noce ha assicurato (se stesso?) che lo spettacolo non chiuderà prima del tempo, Giancarlo Leone, vicedirettore generale della Rai, si è detto felice per le parole del Direttore e ha aggiunto che Apocalypse show dimostra di guardare avanti e si svincola dagli «ascolti drogati». Sarebbe semplice domandare al «vice» chi sia il pusher di viale Mazzini, da qualche anno in qua. In verità Raiuno non ha perso nei confronti di Canale 5.

Ha perso con se stessa, seicentomila italiani che hanno scelto altro, non certo i temi dell’ambiente, della cultura e dei valori che sembrano appartenere in esclusiva mondiale al pensiero forte di Diego Cugia ma che Piero Angela, detto così a caso, affronta da sempre e sempre in Rai, senza clamori e cortigiani.
Nel ’64 Umberto Eco mandò in stampa Apocalittici integrati. Oggi gli stessi apocalittici sono disintegrati.

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