Cultura e società

Capitan Harlock, l'eterno ribelle della nostra infanzia

Noi che sognavano di lottare con Capitan Harlock contro un mondo alienato e corrotto eravamo le promesse migliori di una società che presto sarebbe morta dentro

Capitan Harlock, l'eterno ribelle della nostra infanzia

"Il suo teschio è una bandiera che vuol dire libertà..", quante volte l'abbiamo cantata davanti al vecchio tubo catodico del salone che proiettava le nobili gesta del più coraggioso dei pirati spaziali: il Capitano Harlock annunciato dall'indimenticabile sigla di Albertelli e Tempera.

Dopo la recente dipartita di Leiji Akira Matsumoto, il mangaka scomparso lo scorso 13 febbraio alla veneranda età di 85 anni, qualcuno è tornato a rispolverare - finalmente - il vecchio cartone animato capace di emozionare due generazioni d'italiani attraverso la figura mai superata dell' "eroe romantico". Il Capitano col quale anche noi sognavamo di volare sul veliero spaziale per "rubare a chi aveva di più", come dei moderni Robin Hood appena usciti dal romanzo di Dumas padre.

Impavido, solitario e taciturno, il nostro Harlock fu presto elevato a simbolo animato di una certa ribellione dai caratteri aristocratici, oseremmo quasi dire jüngeriani o mishimiani, considerando una rilettura futuristica di quel codice d’onore che ci avrebbero ricordato i samurai, il loro bushido. Essendo il protagonista un militare emarginato dallo spirito profondamente ribelle, che, sotto il vessillo del pirata, decide di combattere in un futuro molto prossimo i governi corrotti e burocratizzati generati dalla globalizzazione acciecata dal mero profitto. La parola d'ordine per Harlock è "combattere", dopo essersi dato al bosco spaziale e aver rinnegato l’apatia che ha completamente soffocato e soggiogato un'ipotetica umanità del 2977. Dove viene disegnato con la china un futuro distopico in cui gli esseri umani, in seguito all'iperdigitalizzazione e alla robotizzazione che ha gradualmente sostituito gli uomini con le macchine, sono relegati ad un'esistenza inutile, priva d'ogni ideale, sogno e obiettivo da perseguire; uomini che proprio come nel film "Idiocracy" (diretto da Mike Judge, 2006), trascorrono la loro vita davanti a programmi radiotelevisivi che li distolgono dalla realtà, mantenendoli in uno stato di profonda apatia e nascondendo loro le gravi problematiche, celate per evitare un pericoloso risveglio collettivo. Coloro che non accettano questa condizione di "schiavi mentali" - come ribelli dell'orizzonte orwelliano - vengono considerati dei pazzi, o peggio, dei fuorilegge.

Fuorilegge come Harlock, disertore idealista e rinnengato che pur non lasciando trasparire l'ombra di un sentimenti dal suo sguardo impenetrabile, perennemente coperto da una benda e una ciocca di lunghi capelli che lasciano intravedere la profonda cicatrice, intende lottare per dare ancora vita ai sentimenti puri come l'altruismo, la fratellanza e la solidarietà umana. Ciò che più si confà all'uomo virtuoso, in completa antitesi con l'avidità e l'egoismo che hanno permeato le classi dirigenti rappresentante dal Primo Ministro, il cui unico interesse - e qui usciamo per la prima volta dal fantascientifico forse - è ottenere consensi politici, negando l'evidenza e depredando di risorse l’Universo.

Le radici scomode del pirata spaziale

Capitan Harlock, secondo la prima ispirazione di Matsumoto, era una versione più accattivante e futuribile di Capitan Kingston, manga che aveva preceduto la saga di Harlock e vedeva come protagonista un pirata inglese "segretamente agli ordini della regina di Spagna" che andava a caccia del tesoro di Napoleone.

Meno note alla cronaca invece, è la singolare discendenza di Harlock, discendente di una famiglia di intrepidi aviatori come suo padre Phantom Primo, e suo nonno Phantom Secondo Harlock, che, almeno stando ad un prequel (Capitan Harlock - L’Arcadia della mia giovinezza, 1981, regia di Tomoharu Katsumata) aveva volato per la Luftwaffe durante la seconda guerra mondiale. In una delle scene d’apertura, ambientata probabilmente in Germania alla fine del 1945, viene mostrato un duello aereo tra vecchi velivoli ad ala fissa che poco hanno a che fare con le corazzate spaziali e le navi spaziali come l'Arcadia - la nave stellare costruita dal nipote dell’amico che avrebbe proprio salvato la vita a suo nonno, Tadashi. Gli Spitfire disegnati con linee fedeli alla realtà vengono inquadrati da una vecchia croce di collimazione che sarà soprannominata “gli occhi” di Harlock, per mostrare subito dopo un Messerschmitt Bf 109 G-6 con le insegne del Terzo Reich che è intento ad abbatterli. Nella cabina, era un certo Phantom che si considerava “combattente apolitico, duellante con fiera e cavalleresca indole, dal totale distacco ascetico”. Dopo esser stato abbattuto, alzati gli occhioni da aviatore, comparirà il profilo inconfondibile di un parente prossimo del nostro Capitano Harlock.

L'ispirazione dei giovani ribelli

Pubblicato in Giappone dalla Akita Shōten dal 1977 al 1979, Capitan Harlok nella sua versione animata debuttò nel nostro Paese sul secondo canale della RAI, allora Rete2, il 27 novembre del ’79, riscuotendo immediatamente un certo successo. Forse anche per merito di temi e spunti di riflessione che potevano in qualche modo attrarre un pubblico più adulto. La serie del manga interamente scritto e disegnato da Matsumoto venne poi replicata negli anni ’90, attraendo ancora una volta la nuova generazione dei primi Millenials: che sapranno apprezzare ancora una volta l’indole ribelle dell'eroe solitario e incompreso pronto a sacrificarsi per un mondo prossimo all’annichilimento.

Come ipotizzai tempo addietro, il Capitano Harlock, che nel manga affatto superficiale di Matsumoto intende dare battaglia al conformismo alienato che ha messo in ginocchio la terra, ci induceva, nell'inconscia realtà, ad adorare in tempi non sospetti la figura del waldgänger che solo alcuni di noi avrebbero scoperto nel trattato di Jünger. Almeno nelle basi concettuali della ribellione.

Quale dimostrazione che l'apatia su di noi, nonostante tutto, non l'avrebbe avuta mai vinta.

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