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La necessità di riequilibrare il mondo tra globalizzazione e valori locali

Su gentile concessione dell'autore, pubblichiamo oggi un estratto del saggio “Localismo Strategico. Un nuovo modello di sviluppo” di Giancarlo Buffo, edito da Hever

La necessità di riequilibrare il mondo tra globalizzazione e valori locali

Gli stati facente parte della comunità internazionale adottano differenti sistemi di controllo del bilancio che partono da valori aggregati, che oggi molto spesso non sono confrontabili, utilizzando come parametro talvolta il rapporto debito/PIL, oppure i criteri di valutazione sulla bilancia commerciale o sulla quantità di esportazioni. Tali parametri di valutazione sono oggi superati: ad esempio il rapporto debito/PIL non tiene conto dei costi ambientali che i Paesi devono sostenere, né si tiene conto, con questo indicatore, della possibilità di creare, attraverso il debito, sviluppo per i cittadini e le imprese e tanto meno si riesce a misurare “compiutamente” la qualità della vita. «Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana… Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell’equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta». Questo è un frammento del celebre e profetico discorso tenuto il 18 marzo 1968 alla Kansas University da Robert Kennedy, qualche giorno prima di essere ucciso.

Oggi è opinione largamente diffusa che il PIL non sia un indicatore reale del benessere di una società e infatti già nel novembre 2007 si è tenuta a Bruxelles la conferenza internazionale Beyond GDP (Oltre il PIL) organizzata dalla Commissione europea, dal Parlamento Europeo, dall’OCSE e dal WWF. Anche l’allora Presidente francese Nicolas Sarkozy, nel corso della conferenza stampa di inizio 2008, annunciò di aver incaricato due premi Nobel per l’economia, l’americano Joseph Stiglitz e l’indiano Amartya Sen, di riflettere su come cambiare gli indicatori della crescita in Francia, convinto che contabilità nazionale e il PIL abbiano “evidenti limiti” che non rispecchiano “la qualità della vita dei francesi”. Le sperequazioni esistenti tra Nord e Sud del mondo e all’interno delle società a reddito avanzato, nonché un crescente senso di disagio di vaste fasce di popolazione, hanno portato alla elaborazione di numerosi indici di benessere o di crescita alternativi al PIL (come ad esempio l’Indicatore del progresso sociale, la Felicità Nazionale Lorda o Indice di sviluppo Umano, l’Index of Sustainable Economic Welfare, e il Subjective Well Being) che utilizzano parametri differenti e ulteriori rispetto ai semplici indicatori economici. Tutti gli studi di Amarthya Sen e in parte anche quelli di Ralf Dahrendorf vanno in questa direzione, affermando che oggi i parametri di valutazione del benessere economico non sono più adeguati e sufficienti. Esistono posizioni ancora più ostili alla possibilità di dimensionare in modo quantitativo il benessere umano e di sottoporre quindi il “valore” (che ha un senso, non un prezzo) a opere di misurazione quantitativa in senso stretto. C’è chi contesta anche l’idea stessa di incremento progressivo e costante del PIL e del progresso sociale, i cosiddetti teorici della decrescita, che formulano una critica radicale della società capitalista e consumista che dovrebbe invece invertire le proprie tendenze e il processo di crescita, onde salvare il pianeta, favorire il rispetto dell’ambiente e migliorare la qualità della vita.

Acclarata l’insufficienza degli indicatori attualmente utilizzati per la misurazione del benessere è necessario indicare allora nuovi paradigmi misurabili, in luogo degli attuali strumenti internazionali di valutazione (cioè indicare cosa può sostituire il rapporto debito/ PIL, cosa può essere utilizzato per valutare il grado di benessere delle singole comunità e come collegare i nuovi indicatori ai criteri di sostenibilità ESG25 partendo dal locale per una visione globale). Il problema oggi non sono le risorse a disposizione e nemmeno il debito è un problema irrisolvibile (se vi sarà un accordo internazionale il debito generato dalla pandemia potrà essere congelato oppure ridotto con meccanismo della svalutazione da inflazione), ma piuttosto il tema è come utilizzare le risorse per trasformare la società internazionale partendo dal locale. In questo contesto è necessaria una nuova stagione di riforme strutturali anche normative con lo snellimento delle leggi e una razionalizzazione / semplificazione delle stesse per rendere il sistema aderente alla velocità di cambiamento in atto nella società reale non istituzionale. Per definire una governance della nostra società occorre dotarsi di strumenti in grado di evidenziare il livello di benessere – con un neologismo: “benessometro” – che simboleggia il tentativo di rielaborazione del valore dei beni e servizi quale capacità di reimpostare i rapporti sociali. Tale approccio deve ritrovare unicità per assicurare riferimenti etici in grado di elevare le forme di convivenza e migliorare la funzionalità del sistema.

Se, infatti, nel breve periodo prevalgono le attività volte alla correzione delle carenze, nel lungo periodo diventa essenziale definire una vision in grado di ridefinire la società.

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