Cultura e società

Le radici del male francese e la paura che incombe sull’Italia

Per il momento i problemi che ci troviamo ad affrontare sono legati soprattutto all’ordine pubblico (degrado e criminalità in primis) ma tra qualche anno dovremo gestirne ben altri. Basta guardare la Francia per capirlo

Le radici del male francese e la paura che incombe sull’Italia

Alza lo sguardo Oltralpe e guarda cosa succede. La Francia brucia. Oltre un miliardo di danni, dicono. Ma non sono i negozi distrutti, i centri cittadini messi a ferro e fuoco, le auto ai margini delle strade date alle fiamme, i palazzi presi d’assalto a preoccupare. Non è il risultato della guerriglia urbana il nocciolo del problema. I negozi, le strade e financo le città si ricostruiscono. Quello che invece dovrebbe farci balzare dalle nostre comode sedie sono le radici del male, le radici di quell’odio che affonda nel tessuto sociale di un Paese che dal secolo scorso è profondamente lacerato al suo interno. E allora alza lo sguardo, guarda cosa succede e intravedi quello che potrà accadere qui in Italia tra qualche anno, quando anche noi inizieremo a pagare i danni della bomba migratoria che da un decennio a questa parte gli ultrà dell’accoglienza fomentano per ideologia e tornaconto.
La Francia brucia. E sembra un film. Immaginatelo in bianco e nero. E immaginate una voce, fuoricampo, che dice: “Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: ‘Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene’. Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio”. Banlieue parigine. Un ragazzo è stato pestato da un poliziotto e, mentre si trova in ospedale a lottare tra la vita e la morte, la capitale esplode. Il giovane si chiama Abdel e la sua storia ricorda quella di Nahel Merzouk, il 17enne di origine algerina fermato dopo essere stato beccato a girare senza patente. Solo che Nahel è vero ed è morto, mentre Abdel è solo il centro focale attorno al quale ruota “La haine” (“L’odio”), film con cui Mathieu Kassovitz vince il premio per la migliore regia al Festival di Cannes nel 1995. Da allora sono passati quasi trent’anni ma i problemi che la Francia ha nelle banlieue con gli immigrati di seconda e terza generazione non sono affatto cambiati. Nonostante le continue rivolte che devastano e distruggono.

Nonostante la mattanza alla redazione di Charlie Hebdo, la carneficina dentro (e fuori) il Teatro Bataclan e l’orrore sulla promenade di Nizza. Nonostante la crescente incomunicabilità sociale e il pericolo delle “no go zone”, aree dove le forze dell’ordine non sono benviste e l’islamismo comanda. Solo in Francia, stando a un report pubblicato l’anno scorso su InsideOver, si contano almeno 750 zone urbane sensibili e oltre 150 quartieri a rischio. Una vera e propria polveriera.
Dati più recenti li ha raccolti l’Insee, l’istituto di statistica francese, e li ha riportati Libero nei giorni scorsi. Nel Paese ci sono circa 7 milioni di immigrati (più del 10%), numero già di per sé esorbitante che però sale a più di 22 milioni se consideriamo quelli di seconda e terza generazione. Circa un terzo della popolazione. Il problema è che questi non sono mai stati assorbiti nel tessuto sociale. E probabilmente non lo saranno mai. E nonostante questo negli ultimi anni, anziché chiudere, Macron & Co. hanno continuato ad accogliere andando così ad acuire un problema già ingestibile.

E veniamo a un altro film. Del 1992 questa volta, tre anni prima di quello di Kassovitz. Si tratta de “La crisi!” di Coline Serreau. Lo sketch in cui dialogano sul razzismo uno che vive nelle banlieue e uno che vive nei quartieri ricchi. “È molto più facile essere contro il razzismo quando si abita a Neuilly che quando si abita a Saint Denis - spiega il primo - io per esempio sono di Saint Denis e be’, sono razzista, e voi invece, voi vivete in questa casa e non siete razzisti per niente”. E poi dritto al cuore del problema: “Io con gli stranieri ci vivo insieme e non li posso soffrire. Non fanno niente, sono sporchi, ci fregano le macchine, gli danno pure le case prima che a noi, guadagnano più di noi con tutti i sussidi che hanno. A scuola - continua - i nostri figli non imparano niente perché il 70% è di stranieri che non parlano una parola di francese. Ci rompono col loro chador e dovremmo pure pagare per costruirgli le moschee”. Pura e semplice commedia? Mica tanto. Anzi, introduce quello che forse è il vero punto di rottura: l’islam.

Anche in questo caso un paio di numeri aiutano a inquadrare meglio la situazione nel Paese, la Francia, che più di tutti in Europa ha subito le violenze del radicalismo islamico. Quasi il 10% della popolazione (circa 6 milioni di persone) crede in Allah. I musulmani praticanti hanno già superato i cattolici praticanti. Sembra di intravedere già quel futuri che Michel Houellebeq aveva vaticinato in “Sottomissione” nel 2015: un futuro, sempre più prossimo, in cui un partito islamista vince le elezioni politiche. Oggi l’Italia si trova ad affrontare continue ondate migratorie che, complice il lassismo dell’Unione europea e il buonismo della sinistra progressista, rischiano di trasformarla in un immenso campo profughi, senza profughi ma zeppo di clandestini. Il futuro distopico che nel 1973 Jean Rapsail raccontò ne “Il campo dei santi” sembra già qui. Per il momento i problemi che ci troviamo ad affrontare sono legati soprattutto all’ordine pubblico (degrado e criminalità in primis) ma tra qualche anno dovremo gestirne ben altri.

Basta guardare la Francia per capirlo.

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