Bezos all’Harry’s Bar e quella malinconia di Hemingway a Venezia

Durante le nozze in laguna, Jeff Bezos rende omaggio all’Harry’s Bar: un luogo iconico di Venezia e rifugio di Ernest Hemingway, tra ricordi letterari, malinconie e leggende senza tempo

Bezos all’Harry’s Bar e quella malinconia di Hemingway a Venezia
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Forse a Jeff Bezos mancava un po' casa. Nella quattro-giorni del suo matrimonio in laguna il magnate di Amazon ha trovato il tempo per andare all'Harry's Bar. Il locale è un'istituzione in città, ma soprattutto è la sua lunga storia a parlare di un angolo di Venezia che è anche angolo di mondo e d'America. Per l'Harry sono passati tutti i nomi che contano. In particolare è stato la casa, per circa due anni, di Ernest Hemingway. Lo scrittore americano inizia a frequentare il locale di Cipriani tra la fine degli anni '40 e gli anni '50, e a quel luogo lega uno dei suoi romanzi più malinconici, ma forse veri e sinceri, "Al di là del fiume e tra gli alberi".

Per un po' l'Harry's Bar diventa un rifugio per lo scrittore. Nato in Illinois ma cresciuto sulle sponde del Lago Michigan, non lontano da Chicago, non si è mai sentito del tutto a casa negli Stati Uniti. Trapiantato abbastanza giovane in Europa come molti della "generazione perduta", vive quasi in modo "sradicato", eppure sulle sponde della laguna, come tra i monti del Carso, trova quasi una sua ragione d'essere.

Per l'autore di "Addio alle armi" il periodo italiano è fecondo. Venezia lo ispira nella stesura di "Al di là del fiume e tra gli alberi" riportandolo al romanzo dopo oltre 10 anni, ma non lo allontana dagli scandali, in particolare per la relazione platonica con la contessina 18enne Adriana Ivancich, che si consuma nei primi anni 50 tra Venezia e Cuba e che ha fatto da musa ispiratrice per il suo romanzo. Fra l'altro il libro non venne tradotto e pubblicato in Italia prima del 1965.

Nei mesi a cavallo tra il 1949 e 1950, Hemingway ha il suo tavolo personale all'Harry's bar, un po' come il colonnello Richard Cantwell del suo romanzo. Accanto a lui si siedono tutti, tantissimi sono curiosi di parlare con lo scrittore americano, di chiedergli della Parigi degli anni 20, della guerra e del Nuovo Mondo. Ma c'è spazio anche per quella patina di provincialismo bonario, con la domanda delle domande: "c'è un'Hemingway italiano? E se sì, chi è?". Ma certo, che c'è, "per me è Luigi Barzini (Jr.)", abile giornalista del Corriere, reporter e viaggiatore, che nelle peregrinazioni per mezzo mondo aveva conosciuto Hemingway e ne era diventato amico per quanto possibile dato il carattere difficile dell'americano.

Oggi l'Harry's Bar conserva l’atmosfera di quegli anni e di quel mondo, come se avesse assorbito le sue storie. Un fascino che non lascia immune uno degli uomini più ricchi del mondo. Bezos, che può comprare qualunque cosa e affittare pure una città per le proprie nozze, in qualche modo ha reso omaggio a quel luogo e a quel legame.

Un atto semplice e quasi nostalgico, in contrasto con l’ambizione galattica della sua Blue Origin, che rivaleggia su spazio e miliardi con l'avversario Elon Musk, una rivalità poco cavalleresca che potrebbe guardare con invidia a quella di Hemingway coi colleghi di allora come Francis Scott Fitzgerald, amici prima e rivali poi, divisi dallo stile letterario ma uniti da una malinconia di fondo.

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