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«Cultura nuova? No, la solita»

(...) l'operato della Fondazione. Non il barlume di un contrasto, nessuna obiezione, meraviglia collettiva. Se non che, consentitemi di dissentire, scorrendo la programmazione ci assalgono i primi dubbi. L'ampio respiro è piuttosto un timido e provinciale tossicchiare: le mostre principali ripropongono temi classici della genovesità visti e rivisti, come De Andrè e i cantautori; riciclano un autore abusato come Fontana; celebrano un pittore di media levatura come Hofmann (guarda caso legato alla Liguria). Le famose linee conduttrici non si vedono o sono assai velate; giusto qualche agglomerato intorno a dei nuclei isolati. Al contrario appare un firmamento di 35 eventi e 150 incontri affastellati a caso, dietro cui si avverte la mancanza di quella visione d'insieme che sottende il vero progetto culturale. E il «grande salto»? Dove si nasconde il fatidico balzo in avanti che dovrebbe condurre Genova nell'alveo dorato del gotha internazionale? Che dovrebbe aprire le menti dei cittadini della Superba e sprovincializzare tutti insieme appassionatamente? Francamente non c'è. Le sortite nella contemporaneità sono fugaci e poco coraggiose, si notano elementi che denunciano scarsa frequentazione dell'arte internazionale: di fotografia e di cinema neanche a parlarne, di internet e nuovi media solo a latere. A Firenze lo scorso anno si parlava di La Chapelle, a Milano si sono viste mostre magnifiche come quelle su Saudek e Witkin, a Brescia una smagliante esposizione dedicata alla pittura figurativa americana, a Bologna si viaggia nel Futurshow, solo per citare alcuni eventi come termine (imbarazzante) di paragone. Per i giovani, poi, La Fondazione propone uno striminzito programma d'informazione sull'arte in città «Imparare ad Arte». Da ultimo, salvo qualche eccezione che conferma la regola, si avverte nel programma la presenza di un costante e astuto filtro ideologico che porta ad esaltare temi scontati e politicamente corretti come la pace, il multiculturalismo, il buonismo (vedi il «Festival della Pace», le manifestazioni dedicate al Muro di Berlino, gli incontri di Meetix etc.)
L'impressione finale è che lo sforzo ci sia stato, che alcuni passi avanti sono stati compiuti, soprattutto a livello di razionalità organizzativa; ma che i mezzi latitino. Insomma, siamo alle solite: ideologia e provincialismo, i due grandi mali di Genova, si riaffacciano al balcone e portano con sé l'ennesimo tentativo non riuscito.

Riusciremo mai ad ammirare la lungimiranza degli sguardi e quell'orizzonte più ampio che tanto manca alla coscienza di questa adorabile citta? Saremo mai in grado di esprimere un progetto culturale che non si limiti a scimmiottare gli altri e proponga con forza un'interpretazione originale della realtà?
Forse sì. Ma solo il giorno che la sinistra cederà lo scettro.
*Documentarista
Direttore Scuola D'Arte
Cinematografica di Genova

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