Cultura, tanti tagli e poche riforme Adesso il governo batta un colpo...

L'archeologo Carandini lascia l'incarico di consulente di Bondi per mancanza di fondi. La crisi c'è ma bisogna anche saper innovare

Cultura, tanti tagli e poche riforme 
Adesso il governo batta un colpo...

Si è dimesso ieri dalla carica di presidente del Consiglio Superiore dei Beni Cultura­li il professor Andrea Ca­randini. Di fronte alla man­canza di risorse per quel ministero che dovrebbe essere un fio­re all’occhiello per il nostro Paese e invece si trova in una situazione diffi­cile, il prestigioso studioso ha preso atto dell’ulteriore riduzione dei fon­di necessari alla tutela e allo sviluppo del patrimonio culturale e artistico. In pratica, deve aver pensato: «Ma co­sa ci sto a fare se sono nell’impossibi­lità di agire». Non ha sbattuto la por­ta, come immediatamente hanno vo­luto far intendere le opposizioni, ma ha rassegnato le proprie dimissioni per evidenziare che cinquanta milio­ni in meno fiaccherebbero qualsiasi resistenza. Il sottosegretario France­sco Giro ha però precisato che Caran­dini sarebbe disponibile a tornare sui propri passi, qualora il governo ponga tra le priorità il rilancio di quel­lo che appare, paradossalmente, il più debole dei settori, con il ripristi­no dei 200 milioni promessi.

Quando si era insediato nel febbra­io 2009 Carandini aveva mostrato un’apertura incomparabile rispetto al suo predecessore Salvatore Settis. Pur trovando già in una situazione fi­nanziaria critica, non ha mai usato le difficoltà per alcuna polemica politi­ca. Non ha cavalcato la generica pro­testa per il taglio del FUS né spinto le diverse categorie che reggono la cul­tura in Italia a scendere in piazza. In un panorama del genere c’è bisogno di essere molto responsabili e molto scaltri per evitare le facili strumenta­lizzazioni.

Che fare dunque? Un ministero monco della sua testa - è noto che Sandro Bondi abbia da tempo chie­sto a Berlusconi di avvicendarlo ma che il Presidente abbia voluto anco­ra rimandare la decisione - difficil­mente può tenere un atteggiamento saldo, indispensabile quando si trat­ta di lottare per ogni singolo centesi­mo. Ma in fondo la cronica carenza di fondi non è l’unico problema.Il pa­trimonio va tutelato, soprattutto in un Paese che dovrebbe farne una bandiera e un caposaldo economi­co. Una posizione bipartisan, che non dovrebbe essere foriera di prete­stuose divisioni politiche. E fin qui tutto bene. Il punto è un altro. La mac­china ministeriale legata ai beni cul­t­urali in Italia è complicatissima e bu­rocratizzata a tal punto da rendere impossibile qualsiasi tipo di innova­zione e modernizzazione. Troppe le carte bollate, i permessi da compila­re, gli uffici da attraversare. Chiun­que abbia solo provato a tentare di cambiare abitudini e prassi è stato ad­di­tato come se avesse tentato di ucci­dere il nostro immenso patrimonio. Che langue prima per pessima gestio­ne, poi per i tagli.

Prendendo spunto dalla mancan­za di denaro, bisognerebbe avere la forza politica necessaria per scioglie­re questi nodi. Sperimentare gestio­ni più leggere (a cominciare dalle se­di), sfoltire i ranghi, decidere priori­tà perché tutto, ma proprio tutto, in queste condizioni, non si può fare. Qualcosa, negli ultimi tre anni è sta­to realizzato, per esempio la riduzio­ne di alcuni sprechi e l’avvio di una strategia più moderna, aperta al mer­cato e all’investimento dei privati. Ma chiedete a Mario Resca, direttore generale per la valorizzazione del pa­trimonio, quante volte sia stato osta­colato dai pregiudizi di chi tenta in ogni modo di mettergli i bastoni tra le ruote.

Avendo la consapevolezza che le re­strizioni economiche sono fonda­mentali per consentire alla nostra economia di ripartire (e non abbia­mo modo e tempo di esitare), sareb­be opportuno usare l’infelice occasio­ne per riformare un sistema inadat­to, che conserva e non ricerca, che è impegnato a mantenere lo status quo e contribuisce ben poco allo svi­luppo di una risorsa finanziariamen­te importante

come i beni culturali. Basterebbe intanto ridurre le com­missioni, i comitati, i consigli d’am­ministrazione e razionalizzare le spe­se. Ma per farlo è necessaria un’azio­ne decisa, che al momento sembra la­t­itare.

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