Andrea Kerbaker, crimini di provincia e soldi (non) facili

Andrea Kerbaker è bravissimo a descrivere il meccanismo psicologico che si innesca quando le maglie della giustizia, stringendosi sempre di più, trasformano la paura in senso di colpa, in disgusto, in nausea

Andrea Kerbaker, crimini di provincia e soldi (non) facili

Ha puntato sul cavallo sbagliato, il protagonista del nuovo romanzo di Andrea Kerbaker, "Money" (La nave di Teseo, pagg. 128, euro 13), perlomeno da punto di vista professionale. Invece di tenersi stretta la trattoria di famiglia, e approfittare dello spirito del tempo che negli ultimi decenni ha trasformato l'arte di mangiar bene in una mania che ha scalzato il calcio e la politica dalla posizione di ossessione nazionale, ha venduto tutto per metter su un laboratorio da tappezziere. Adesso fa la fame e se non fosse per la moglie, insegnante alle scuole medie, forse non avrebbe i soldi per rottamare il furgone vecchio, che cade a pezzi. Proprio nel furgone («Tu stai per comprarne uno nuovo, giusto?») l’amico più sveglio e intraprendente, un restauratore chiacchierato per aver rasentato spesso l'illegalità, insomma un «dritto» di quelli storti, individua il tallone d’Achille, l’anello morale che non tiene. Ci sarebbe, in una villa in collina, un vecchiaccio che ha l’improntitudine di possedere un Depero, un’opera che i musei di tutto il mondo annovererebbero volentieri fra i loro capolavori. L’uomo ha avuto l'ardire di rifiutare i 700mila euro che un collezionista gli ha offerto. Il furto, in questi casi, è un atto dovuto; e poi si fa presto a cambiare la targa a un furgone qualsiasi, metterci dentro il quadro in questione e correre all'appuntamento con l’acquirente...

Al tappezziere, anche per via dell'amicizia, andrebbe un decimo dei 700mila, che con questi chiari di luna fanno veramente comodo. Allontanate alcune remore etiche che non vedevano l’ora di togliere il disturbo, si tratta adesso di far combaciare una quantità di tasselli...
Né il recensore, per non privare il lettore del piacere di imbattersi in un evento che fa ruotare il romanzo come su un perno, rendendo insopportabile il peso delle responsabilità del protagonista, può descrivere quel che accade quando lo svolgimento del furto prende una brutta piega e si evolve, sfiorando un’altra e ben più grave fattispecie. Quel che conta è che a questo punto il romanzo, ambientato in una provincia lombarda senza tempo, alacre ma un po’ gretta, acquista un sapore di delitto e castigo. Le domande della moglie, i sospetti della figlia adolescente sono altrettante coltellate. La collettività getta la maschera bonaria e conciliante che aveva per mostrare un potere censorio in grado di mettere a nudo virtù che in precedenza sembravano addormentate.

Kerbaker è bravissimo a descrivere il meccanismo psicologico che si innesca quando le maglie della giustizia, stringendosi sempre di più, trasformano la paura in senso di colpa, in disgusto, in nausea.

Un processo di maturazione nel quale gioca un ruolo determinante il parroco, che svolge la funzione del coro nelle tragedie greche e fa capire a tutti che da un certo punto di vista luciferino i crimini minori - lasche complicità, infedeltà coniugali, menzogne ai familiari - sono i più ignobili, se non altro perché di solito non vengono puniti.

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