Un archeologo, un'inviata e una brioche di troppo persi nel teatro dei sogni

Nel nuovo romanzo Andrea De Carlo ritrae la società fra piccinerie e illusioni (e humor)

Un archeologo, un'inviata e una brioche di troppo persi nel teatro dei sogni

Basta guardarla adesso, per esempio, in questa mattina fredda ma nemmeno troppo tenuto conto che è il primo di gennaio, mentre entra nel caffè più storico del centro di Suverso, ancora rintronata dalle aspettative deluse del Capodanno a Milano e dalla guidata notturna in Mini con l'acceleratore a tavoletta. Basta guardare il suo riflesso nello specchio dietro il bancone mentre scansiona le paste e le brioche nella vetrinetta: i capelli hanno il tono giusto di biondo, più scuro alle radici e sfumato chiaro in lunghezza, le borse sotto gli occhi sono al minimo date le circostanze, la pashmina nera è morbida e vaporosa, il piumino argentato bello stretto in vita dalla cintura, i pantaloni neri stretch le fasciano bene le gambe, gli stivaletti con i tacchi alti le danno slancio se non proprio altezza. Non sarà più una ventenne ma non è niente male, e l'impressione è confermata dalle occhiate maschili d'apprezzamento mentre si allunga a indicare alla signorina in grembiule e cuffietta una brioche alla crema spolverata di zucchero a velo. Fa una mezza giravolta per ordinare al barista un cappuccino, e raccoglie anche alcune occhiate di donne che l'hanno riconosciuta, con proporzioni diverse di ammirazione, curiosità morbosa, fastidio, gelosia.

Tira fuori il telefonino, lo mette in funzione selfie, con il filtro effetto soft focus che usa sempre; inclina la testa, scopre il sorriso che con queste luci diventa quasi abbagliante, avvia la diretta sulla sua pagina social. Passa il telefonino nella sinistra, allunga la destra a prendere la brioche alla crema, ne intinge la punta nel cappuccino, fa una piccola smorfia buffa. «Così eccoci al primo giorno del nuovo anno!». Prende un bel morso, senza quasi masticare per concentrarsi sul sorriso e non fare la ruminante. C'è un altro filtro simpatico che le mette automaticamente sulla testa una coroncina dorata con la scritta 2020.

Saranno giochini infantili finché vuoi, ma ormai li usano tutte le sue colleghe e metà dei suoi colleghi maschi, li usa anche sua madre. Cosa c'è di male a migliorarsi un tantino, a rendere un po' più divertente la comunicazione? Niente, proprio niente.

Però adesso il boccone di brioche non masticato le si è bloccato a metà trachea e non scende, le rende sempre più difficile continuare a sorridere. Prova a mandarlo giù ma non ci riesce, prova a farlo risalire ma non ci riesce, prova a respirare ma non ci riesce: da un momento all'altro si rende conto che sta soffocando davanti a tutti, come una scema.

Fa qualche passo spaventato via dal bancone, cerca di calmarsi, cerca di deglutire il malloppo o rigurgitarlo nel tovagliolino di carta: niente, l'ostruzione le chiude il passaggio dell'aria, la fa annaspare, la manda in tilt. La testa le si riempie di facce di persone finite malissimo di cui ha dovuto raccontare dai luoghi dell'incidente o della disgrazia o del delitto, e intanto barcolla in preda al panico nel caffè più storico del centro di Suverso.

L'aspetto peggiore della situazione, a parte il senso di soffocamento e il vedersi già cadavere sul pavimento, già commemorata da Roberta Riscatto in tono finto commosso mentre guarda dritto verso la telecamera con gli occhi lucidi (le basta fissare abbastanza a lungo una luce di studio, lo fa spesso), è che gli altri clienti restano lì immobili, con le stesse identiche sfumature di ammirazione, curiosità morbosa, fastidio e gelosia che avevano prima. Forse non riescono a leggere l'affanno nei suoi movimenti e il terrore nei suoi occhi, o forse pensano che una corrispondente televisiva specializzata in liti e delitti sia più o meno immortale.

Lascia cadere sul pavimento la brioche e anche il telefonino, si strappa via la pashmina, fa altri passi traballanti con le mani sulla gola, e ancora nessuno si sogna di muoversi per aiutarla. Per esempio la vecchia signora con la pelliccia di visone e i capelli azzurrini, o la cinquantenne vestita da collegiale col cerchietto di strass in testa, o il tipo lungo e magro con gli occhiali da spia anni sessanta, o il grassone che quasi fa scoppiare il suo cappotto di cammello, o le due amiche fighette con gli occhi da coniglie gemelle, o il ragazzino con i capelli dritti sulla testa e la mamma in giacca di pelle nera borchiata e griffata. Tutti fermi, con quel cavolo di compostezza ipocrita e sospettosa da buona borghesia suversese, a fissarla come se stesse facendo una sceneggiata per intrattenerli. Anche la ragazza e il barista dietro il bancone sembrano più incuriositi che allarmati, mentre lei annaspa con il cuore che le batte all'impazzata e il sangue che le diventa freddo e gli occhi che le si riempiono di lacrime all'avvicinarsi di una fine incredibilmente stupida e umiliante davanti a una dozzina di sconosciuti che pensano di conoscerla perché hanno visto le sue corrispondenze per Tutto qui!

D'improvviso sente un impatto violento alle spalle, una stretta intorno alla vita e una pressione alla base dello sterno, strappi all'insù così forti da farle staccare i piedi da terra.

Vorrebbe gridare di smetterla per non peggiorare la stupidità umiliante della sua fine ma non ci riesce, e chiunque sia che la stringe e preme e solleva continua a farlo con la stessa energia, finché lei sente il pezzo di brioche fermo nella trachea che miracolosamente si sblocca e le viene su per la gola, le vola fuori dalla bocca. È incredibile, ma da un istante all'altro può di nuovo respirare, riempirsi i polmoni d'aria! Tossisce, deglutisce, si muove con una sensazione esilarante di sollievo che le si diffonde per tutto il corpo, le sale alla testa come un'ubriacatura. Si gira, e finalmente può vedere in faccia il suo salvatore.

È un tipo dallo sguardo intenso, capelli sale e pepe a ciocche disordinate, cappotto nero dallo splendido taglio morbido, sciarpa di seta viola e arancione, stivali da cavallo un po' sporchi di fango. Uno strano misto di eleganza e durezza, calma e tensione: abbastanza sconcertante, in questo momento già parecchio instabile.

«Gra-grazie, eh?» Veronica Del Muciaro si rende conto di avere una dizione pessima, ma il respiro è ancora affannato e il battito del cuore accelerato, benché siano in via di normalizzazione.

Sorride, si volta verso gli altri avventori: neanche la coordinazione dei movimenti è al massimo. Indica il suo salvatore alla dozzina di bastarde e bastardi che fino a un minuto fa la stavano guardando soffocare senza muovere un dito e adesso sembrano quasi delusi di non aver assistito alla tragedia del primo dell'anno. «Ques-to si-si-gnore mi ha s-salva-to la vi-ta!». La voce le viene fuori a scatti, increscioso anche se in questa condizione forse è normale. Batte le mani per invitare tutti a un applauso; gli unici che si associano sono il ragazzino con i capelli dritti e sua madre con la giacca di pelle borchiata. Se non altro il barista viene a portarle un bicchiere d'acqua, cara grazia.

Lei prende un sorso lungo, si asciuga le lacrime agli angoli degli occhi, si tocca il collo dolorante. Il rimmel è colato, inevitabilmente, però aggiunge un bel tocco di dramma. Le fanno male anche lo sterno e le costole, dove il suo salvatore l'ha stretta, premuta e scossa con tanta energia e determinazione.

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