Sul muretto stanno Lara, Mariella e le altre, belle quasi tutte. Truccate, smaltate e curate tutte. Desiderate dai maschi, padri e coetanei in processione o militari della piccola base Nato, certamente tutte. Amiche, nessuna. Potrebbe essere una storia di oggi, forse d'amore o di passione. E invece è una storia di sopraffazione, invidie e ribellione. È la storia de La confraternita delle puttane (Mondadori), l'ultimo romanzo di Lucrezia Lerro, ambientato negli anni '80 in un paesino del Sud che assomiglia a Omignano, provincia di Salerno, dove l'autrice è nata nel 1977, ma anche a tanti luoghi che hanno preciso riferimento geografico soprattutto in certe menti, dove le donne restano femmine, senza speranze di affrancamento da un ruolo esclusivamente sessuale. La Lerro sarà ospite, il 23 novembre, di Bookcity, a Milano.
La parola puttana fa ancora scandalo?
«Nel romanzo le protagoniste utilizzano questo epiteto perché a casa loro lo si ripete spesso. È la peggiore offesa, da usare per oltraggiare le avversarie sul lavoro, in amore, nella vita di tutti i giorni, da abusare per macchiare, per sottolineare l'impossibilità di una donna di essere davvero libera. Anche oggi trova largo spazio. Per offendere le donne inconsapevoli, quelle che non si rendono conto che l'unica che hanno è allearsi».
Un'offesa di cui nemmeno la liberazione sessuale ha diminuito il potenziale?
«Le offese riguardano chi le fa, non chi le subisce. I pregiudizi, gli stereotipi. Nel mio romanzo ci si può liberare da famiglie oppressive solo sposandosi. Le mie ragazze vivono in un microcosmo in cui è guerra aperta a tutte le ore. Puttana serve a rendere brutte le altre, a farle sentire insufficienti. A dire: Sei sporca, come la peggiore delle donne».
Che donne sono quelle del muretto?
«Ragazze disperate, che tentano di elaborare un copione, ma non sanno come sia possibile uscire dal fallimento della famiglia di origine. Hanno avuto mamme incapaci di realizzare i propri desideri femminili, non conoscono l'alfabeto sentimentale e rimettono in atto la scena delle loro madri infelici. Offese dalle mamme, offendono le amiche. Sono giovani in guerra tra loro, vorrebbero essere amate ma non sanno come si fa. E quindi si odiano».
È il 1989 o è oggi?
«È una metafora per dire che la strada della consapevolezza femminile è ancora lunga: bisogna essere disposte a pagare per la libertà, raccontare la propria storia a testa alta, non occultare il dolore o il disagio».
La voce narrante è quella di una 13enne. Sembra diversa dalle altre.
«Ha un dono, una consapevolezza che non viene dalla famiglia, dal paese, dalla religione. Sente che ci può essere un'altra strada da percorrere, non vuole aspettare che arrivi un uomo a salvarla, vuole andare oltre la tradizione».
La famiglia, il ruolo del sesso, la disperazione. I casi di cronaca delle baby prostitute di Roma e delle scuole private di Milano sono frammenti di questo quadro?
«Si tratta di ragazzine immerse nell'inconsapevolezza. E nella disperazione. Spogliarsi, offrirsi e vendersi senza pudore significa disagio... Famiglie inconsistenti, a loro volta frutto di famiglie inconsistenti».
Ma non è colpa delle cattive amicizie?
«Le emulazioni adolescenziali esistono, ma se nella famiglia c'è radice buona, non feroce, i figli crescono guidati, condotti nel mondo. L'abbandono ha effetti irreversibili sui figli. La mancanza di punti di riferimento crea panico, ribellione. E il sesso è una ribellione come le altre: prostituirsi per urlare lo scempio cui si è stati sottoposti. Quel che vediamo è anche un monito».
Di che genere?
«A fare i figli con consapevolezza. Il luogo comune I figli vengono su da soli potrebbe essere l'incipit per un meraviglioso saggio sul rinvio di maternità. Chi è stato figlio infelice fa figli nella speranza di riparare all'infelicità. Ma l'infanzia non si ripara con altra vita messa a patire».
Sintomo di disagio sono stati la tossicodipendenza, poi l'anoressia. Oggi il sesso. Come mai?
«È sempre il corpo che diventa teatro di autolesionismo. Massacrato, fotografato nudo, venduto, tagliato, denutrito, il corpo è l'urlo.
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