La bellezza della perfezione? Sta nell’imperfezione

La bellezza della perfezione? Sta nell’imperfezione

Pubblichiamo il testo dell’intervento su «Perfezione&imperfezione» che Piero Chiambretti leggerà domani al Teatro Dal Verme di Milano (ore 21) all’inaugurazione della Milanesiana, il festival ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi.

di Piero Chiambretti

Quando la regina della Milanesiana Elisabetta Sgarbi, nella hall di un albergo torinese a pochi metri dal Salone del libro, con fare deciso mi disse: «Per te ho una cosa perfetta», pensai subito a un intervento sulla crisi di rigetto della tv, oppure sulla comunicazione di massa, o ancora, sulla leggenda del Grande Torino. Non era così. Il tema di questa edizione è l’imperfezione.
Mi sono chiesto cosa c’entrassi io con questo tema.
Ho passato diversi giorni a trovare una risposta, poi per caso, guardandomi allo specchio ci sono arrivato.
La sociologa di Houston Brenè Brown ha scritto un interessante libro dal titolo Il talento dell’imperfezione dove sdogana il difetto come nuova frontiera del gusto. I difetti e il coraggio di mostrarli sono considerati oggi simbolo di particolarità e di forte personalità. L’aforista e scrittore austriaco Karl Kraus a proposito è stato lapidario: «Per essere perfetto gli mancava solo un difetto».
L’ossessione della perfezione negli ultimi decenni ha avuto nel bisturi il suo arnese più fedele.
Quando le cose sono perfette, quello è il momento di preoccuparsi di più.
Nasi, bocche, zigomi, seni, zampe di gallina, culoni, tutti si sono messi a disposizione del raggiungimento del capolavoro assoluto.
Peccato che la vera perfezione sia l’imperfezione. Basta fare un giro per le vie del centro per accorgersi come la chirurgia estetica sia la vera cartina di tornasole di questo concetto. I mostri che incontriamo sono sublimi e pure felici dei loro ritocchi. Ho visto nei bar donne che ridevano come i cammelli, in tv ragazze trasformate in bombole del gas, sulle passerelle stilisti che sembrano maschere del carnevale di Viareggio.
Rita Levi di Montalcini, nei suoi centouno anni, non è stata neanche un giorno dall’estetista. La mia concittadina ha pubblicato un libro dal titolo Elogio dell’imperfezione dove scrive senza paura che la sua vita è stata imperfetta. Non a caso ha conseguito un premio Nobel nel 1986.
Mi chiedo, se non è perfetta lei, chi lo è? Dolce e Gabbana?
Aspirare all’eccellenza ti stimola, aspirare alla perfezione ti angoscia.
L’imperfezione è perfetta. Un paradosso che ha radici lontane: Empedocle, Aristotele e il più contemporaneo Bruno Vespa, sostengono la tesi che se il mondo fosse perfetto non potrebbe migliorare.
Billy Wilder mi viene in soccorso quando dice «Nessuno è perfetto». Io mi guardo e non mi vedo perfetto, ma completo di tutte le parti necessarie.
La miglior perfezione è l’imperfezione.
Dicesi perfetto colui che riesce a raggiungere il suo scopo. Io nella vita volevo essere alto. A sette anni ero altissimo, a quindici ero uguale, cioè basso. Non sono cresciuto per un problema a una ghiandola, dissero a mia madre alcuni endocrinologi, «Le faccia fare un po’ di queste iniezioni, qualche centimetro lo guadagna sicuro». Mi bucarono il sedere per sei mesi, poi si scoprì che la cura era contro l’orchite.

Mi vennero due palle che toccavano per terra. La sensazione di trascinare i testicoli lungo il marciapiede col rischio di calpestarli, fu quella di sentirmi ancora più piccolo.
Imperfetto, da essere perfetto per fare il comico.
È stata la mia fortuna.

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