È bello annoiarsi con Ian McEwan

In "La ballata di Adam Henry", come negli altri suoi libri, è il tedio la cifra estetica. Ma dietro c'è molta sostanza

È bello annoiarsi con Ian McEwan

Ian McEwan è uno dei più interessanti scrittori viventi, e uno dei più noiosi. Così noioso che, se non fosse per i contenuti, sembrerebbe quasi un italiano. Non ci si può fare niente, prendere o lasciare. Io prendo, perché ci sono molte ragioni per leggerlo e annoiarsi, e chissà quante volte vi annoiate con un amico o vostra moglie o vostro marito senza però imparare niente. Anzitutto è un autore inglese, elegante, con una visione epistemologica e una conoscenza scientifica rara nel suo ambiente. Tra l'altro è amico intimo di Richard Dawkins, e il suo ultimo romanzo, La ballata di Adam Henry (Einaudi, pagg. 208, euro 20, traduzione di Susanna Basso), sembra quasi ispirato da un efficace concetto di Dawkins secondo cui non esistono bambini cristiani, bambini musulmani, bambini ebrei, ma solo figli di genitori cristiani, genitori musulmani, genitori ebrei. I quali genitori cristiani italiani, per esempio, se fossero nati in Afghanistan, sarebbero stati genitori musulmani e viceversa.

Ecco, il pregio e insieme il difetto di McEwan è proprio questo: sceglie un tema intelligente, raccoglie dei dati intelligentissimi, e a tavolino fa due più due e butta giù la sua opera. Qui la protagonista si chiama Fiona Maye, ed è un giudice (o giudicessa, nel caso stesse leggendo Laura Boldrini) dell'Alta Corte Britannica che deve decidere sulla vita di un minorenne Testimone di Geova, il quale è affetto da leucemia e rifiuta una trasfusione di sangue condannandosi a morte. Seguono i tormenti di Fiona sul caso, ma anche sul proprio matrimonio in crisi, poiché il marito vorrebbe avere il permesso per una scappatella con una ventenne (e daglielo, Fiona, ma quale tragedia: già tanto lui abbia aspettato trent'anni di matrimonio per farsi venire certe voglie, e tu dichiari di essere sempre stata fedele perché non ti interessa, e se non ti interessa stai facendo i tuoi interessi quanto lui).

Insomma, Fiona è noiosissima, il marito di Fiona pure, i Testimoni di Geova pure, per fortuna non hanno figli, altrimenti si sarebbero sparati per noia, altro che Testimoni di Geova. Tanto per capirci, quando attraverso decine di paragrafi tipo «Fiona andò alla finestra e osservò il lato opposto della piazza dove le sagome degli alberi andavano tingendosi di nero cupo nel crepuscolo lentissimo di giugno» resto in bilico tra uno sbadiglio e un attacco di panico. Magari perfino all'Einaudi hanno preso molti caffè se The Children Act lo hanno intitolato La ballata di Adam Henry infilandolo nel filone editoriale dei titoli con le ballate uscite quest'anno: La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin (Mondadori) e La ballata di Jonny Valentine di Teddy Wayne (il più bello di tutti, minimum fax).

Dopo duecento pagine spaccate le conclusioni della vicenda sono abbastanza ovvie (pur con un risvolto carino e altrettanto soporifero che non svelo sennò mi accusate di spoilerare), e tuttavia, strano ma vero, vale la pena di leggere il libro. Perché vale sempre la pena di leggere McEwan. Voglio dire: alla fine, come ogni volta, mi resta sempre il dubbio che la noia sia un suo strumento estetico consapevole. Ti annoi così tanto che ti ricordi benissimo le cose che non ti hanno annoiato. Oppure: ti annoi così tanto che ogni pagina ti sembra una perfetta metafora della vita.

Questo discorso sulla noia di McEwan l'ho pensato diverse volte, soprattutto dopo aver letto Sabato , forse il suo romanzo migliore (insieme a Solar , entrambi stupendi e noiosissimi). Svolgendosi tutto in una giornata, la sensazione di stasi funziona alla perfezione, per cui non ci si accorge di insabbiarsi: lo si è già dal titolo, oltre sabato non si andrà, e l'operazione al cervello del neurochirurgo protagonista è un capolavoro. Viceversa l'ho pensato anche leggendo Miele , che scorre liscio come un thriller, come se McEwan stesse cercando di comunicarci: guardate che se voglio so come non annoiare.

In fondo perfino la trilogia di Beckett è sublime e noiosa, e forse McEwan è un Beckett scienziato che ha scelto il grande pubblico. E d'altra parte, se proprio vogliamo, Giacomo Leopardi definiva la noia il più sublime dei sentimenti di questo mondo.

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