Caro Fabio Fazio ti scrivo...

Fabio Fazio, più che far vendere molte copie, invita a parlare chi già vende tanto. Ma perché non lancia gli outsider? A "Che libro che fa" dovrebbe osare di più...

Caro Fabio Fazio ti scrivo...

Caro Fabio Fazio, conformemente ai più biechi stereotipi sui cosiddetti «intellettuali», non guardo la televisione, o almeno tento di guardarla il meno possibile. A questa regola, però, derogo due volte la settimana, quando va in onda Che tempo che fa. Seguo sempre la tua trasmissione e cerco di non perderne una puntata. Apprezzo il tuo garbo, il fascino ecocompatibile di Filippa e naturalmente l’irriverenza scatologica e libidinale della Littizzetto. Adesso che ci penso, mi piace persino il papillon di Mercalli, il che è tutto dire.
Ma veniamo al dunque. Ti scrivo non solo per il gusto pop di confessarmi davanti a tutti, ma per una ragione più attinente al mio mestiere e, indirettamente, al tuo. Qualche giorno fa, sbirciando la classifica di un quotidiano, ho scoperto che gli autori dei sei libri più venduti sono stati tuoi ospiti. Gramellini, Guccini, Baricco, Camilleri, Zafón, Verdone: i magnifici sei. D’accordo, Camilleri ha ottenuto «solo» una puntata speciale (a casa sua) l’anno scorso, Baricco «solo» una puntata speciale in studio (su Mr Gwyn, non sulla sua ultima fatica), mentre Verdone a Che tempo che fa ha presentato «solo» un film, non il volume attualmente in classifica. Gli altri tre - Gramellini, Zafón e Guccini - sono venuti a presentare il romanzo che in questi giorni sbanca in libreria. Tutti però si sono seduti davanti a te, e certo non vorrai affermare che ciò ha prodotto una flessione nelle vendite.
Sei su sei: cifre che fanno gonfiare le gote, ma che dovrebbero anche far riflettere. Perché quando due eventi sono concomitanti, o il primo evento è la causa del secondo, o il secondo è la causa del primo. A meno che (terza ipotesi) tutto non dipenda da qualche tipo di armonia prestabilita. Scarto subito l’ignobile ipotesi numero uno: non credo che tu riceva ordini dalle case editrici, le quali ti imporrebbero di invitare gli scrittori che venderanno e che debbono essere ulteriormente «spinti». Ma resto perplesso di fronte alle altre due possibilità. Ormai, negli uffici stampa, si sa fin troppo bene che la tua trasmissione fa impennare le tirature. Appena giunge la notizia che un autore parteciperà a Che tempo che fa, gli editori allertano i venditori e i librai ordinano molte copie, che poi espongono in libreria. È una reazione naturale e sarebbe sciocco aspettarsi il contrario, che non si approfitti dell’azione trainante prodotta delle tue selezioni.
Aggiungo che altri conduttori televisivi hanno provato a raggiungere lo stesso risultato senza riuscirci, o almeno senza riuscirci nella stessa misura. Se fai vendere, dunque, è perché hai saputo conquistare i lettori, guadagnandoti la loro fiducia. È il sogno di ogni critico letterario, del resto: persuadere gli altri della giustezza delle proprie opinioni.
Il problema, se c’è, nasce perché dal mio punto di vista la seconda ipotesi («Fazio fa vendere molte copie») si confonde con la terza: quella di un’innocente, ma pericolosa convergenza fra i tuoi gusti e gli interessi dell’industria culturale. Non alludo a una convergenza totale, ci mancherebbe. Dico solo che le tue scelte pescano «liberamente» sì, ma all’interno di un insieme chiuso: quello delle opere palatabili (uso deliberatamente un’espressione orrenda), cioè ben accette ad un vasto pubblico magari engagé, ma di bocca buona. Se vivessimo in un Paese normale, ciò non avrebbe conseguenze: ognuno compra i libri che vuole. Ma non siamo un Paese normale, abbiamo scarso senso critico e una forte inclinazione a lasciarci guidare. Dalla Chiesa, da Mazzini, da Mussolini e da Pippo Baudo.
Non ti andrebbe, allora, di assumerti le tue responsabilità e di provare ad elevare la qualità delle letture degli italiani? Di fare un po’ di spazio, fra quei sei nomi, per uno scrittore vero? Non penso al premio Nobel idolatrato nelle terze pagine, ma all’onesto romanziere che ha scritto un grande romanzo e che non vende (non vende ancora) perché in un mondo dominato dai lustrini può contare soltanto sulla sua arte.

Si potrebbe, una volta ogni tanto, invitare a Che tempo che fa uno scrittore semi-sconosciuto che pubblica con una casa editrice media o piccola, senza parenti o amici celebri, e soprattutto proveniente da un lavoro «normale»? Pensaci: per una volta niente sceneggiatori, registi, architetti, politici, giornalisti. Per una volta, niente cantanti e attori. È possibile? Oppure - come retoricamente si chiedeva un personaggio di Brecht - questo è un obiettivo troppo ambizioso anche per te?

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