Castelli (in aria) di rabbia Baricco ha twittato un nuovo romanzo

"Tre volte all’alba" è un libro da postare, più che da leggere. Un noioso circo Barnum di frasi. Perché farebbe scervellare persino Proust

Castelli (in aria) di rabbia Baricco ha twittato  un nuovo romanzo

Non sottovalutate Alessandro Baricco. L’ho capito a mie spese, dieci euro, perché confesso di essermi ricreduto su questi romanzini di 80 pagine né carne né pesce e anche con poco utilizzo di carta che volendo Baricco potrebbe pubblicare su Twitter e invece, per altruismo, pubblica con Feltrinelli in decine di migliaia di copie.

È andata così: ho preso l’ultimo, Tre volte all’alba, perché mi ero dimenticato gli altri che avevo letto, gli oceani mare, i castelli di rabbia, e soprattutto perché credevo fosse autobiografico e mi era venuta la curiosità di sapere cosa faceva Baricco tre volte all’alba. Con sorpresa ho scoperto che Baricco non è affatto un autore facile come sembra, James Joyce al confronto è Federico Moccia. Già dalla premessa un bel casino, perfino Marcel Proust si sarebbe scervellato. «Queste pagine raccontano una storia verosimile che, tuttavia, non potrebbe mai accadere nella realtà. Raccontano infatti di due personaggi che si incontrano per tre volte, ma ogni volta è l’unica, e la prima, e l’ultima. Lo possono fare perché abitano un Tempo anomalo che inutilmente si cercherebbe nell’esperienza quotidiana. Lo allestiscono le narrazioni, di tanto in tanto, e questo è uno dei loro privilegi». Anche farne una parafrasi è difficile: i due personaggi possono incontrarsi ogni volta come se fosse la prima e l’ultima perché le narrazioni allestiscono il tempo usufruendo di un loro privilegio, di tanto in tanto, boh.

Comunque in sintesi la trama è questa: ci sono un lui e una lei, come il lei e il lui di Andrea De Carlo ma ridotti all’osso della comunicazione telegrafica, che parlano in una stanza d’albergo. Lei è una poliziotta ma lui non lo sa, e alla fine lo arresta, prima storia. Dopo ci sono un lui e una lei, nello stesso albergo, lui è quello della prima storia ma invecchiato, lei è un’altra che sta con un altro, seconda storia. Dopo ci sono una lei e un lui sempre in questa stessa merda di albergo che a questo punto odiate, lei è quella della prima storia, lui è un bambino, terza storia.

È fico perché il narratore è in terza persona, una terza persona che incarna Baricco in persona, si sente da come parla, da come scrive: è il fraseggio di Baricco a essere tutta una storia, perché Baricco non è barocco, è Baricco dall’inizio alla fine. Così la donna della prima storia, per esempio, «aveva una sua eleganza nel muoversi, ma anche sembrava un’attrice appena rientrata dietro le quinte, sollevata dall’obbligo di recitare e tornata in un qualche se stessa, più sincero». Si resta lì, in parte affascinati, in parte impigliati in un loop nella goffaggine del giro di frase cercando di tradurla, in parte imbambolati nel pensare a come sarà questo qualche se stessa più sincero. Ma Baricco non dà tregua, è uno scrittore fantastico.

Infatti subito dopo te ne spara un’altra, appena a pagina due: «La hall dell’albergo dimorava immobile». A immaginarsela, una hall che dimora immobile, ho calcolato, ci vuole almeno mezz’ora, ecco perché Baricco scrive libri così corti, così retwittabili. Come quando scrive: «Aveva l’aria di piovere, ma poi non l’ha fatto» e non si capisce chi non ha fatto cosa: chi aveva l’aria di piovere? Cosa non l’ha fatto? Forse le narrazioni che allestiscono il tempo con i loro privilegi?

D’altra parte appena si esce dall’albergo Baricco va fortissimo nelle descrizioni paesaggistiche: «L’alba dilagava nel cielo terso con tale sicurezza che perfino quei sobborghi senza ambizioni sembravano colti di sorpresa, finendo per cedere a una quasi bellezza per cui non erano stati costruiti». Quest’immagine è di grande effetto ma troppo complicata da sviscerare e parafrasare: l’alba che dilaga con sicurezza, i sobborghi, costruiti per non essere mai belli, colti di sorpresa ma che cedono a una quasi bellezza, ci vorrebbero un Binni, un Lavagetto, almeno Berardinelli.

Io comunque, sono andato avanti perché leggere il romanzo-Twitter di Baricco è come andare in pedalò, dopo i primi due minuti non vedi l’ora di scendere ma ormai l’hai pagato e ci devi stare almeno mezz’ora, e però alla fine sarete premiati. Stringi stringi è perfino poeticissimo e profondissimo, Baricco, quando descrive lei che «guardava quella casa, davanti a sé, e pensava alla misteriosa permanenza delle cose nella corrente mai ferma della vita. Stava pensando che ogni volta, vivendo con loro, si finisce per lasciare su di loro come una mano leggera di vernice, la tinta di certe emozioni destinate a scolorare, sotto il sole, in ricordi». Loro sarebbero le cose, e quindi il senso è lasciare su di loro una mano di vernice, che sarebbe la tinta delle emozioni su di loro, sulle cose, mamma mia come scrive Baricco.

Non siate superficiali, piuttosto cercate i nessi tra l’allestimento delle narrazioni e il loro privilegio lì nella hall che dimora immobile mentre ha l’aria di piovere e non lo fa e ogni volta è l’unica e l’ultima e la

prima e in ogni caso pensateci bene prima di trarre conclusioni affrettate, anche se dovesse venirvi voglia di mandarlo a Fandango. Tra l’altro sarebbe inutile, a Fandango c’è andato da solo e ha il venticinque per cento.

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