Cultura e Spettacoli

Da Castro a Chávez fu sempre fedele ai miti della sinistra

Da Castro a Chávez fu sempre fedele ai miti della sinistra. L'impegno ideologico fu senza tentennamenti. Anche quando la storia ne decretò la sconfitta

Il maestro Claudio Abbado
Il maestro Claudio Abbado

Appare inevitabile, percorrendo a ritroso il percorso di Claudio Abbado, che la sua vita fosse dedicata alla musica. Nato nella città della Scala da una famiglia tutta di musicisti - a cominciare dal padre, eccellente violinista - era predestinato al mondo della musica, e di quel mondo è diventato grande protagonista. Meno inevitabile era che alla musica si accompagnasse sempre non dico la politica, ma un impegno ideologico senza tentennamenti e senza ritorni. Le sue amicizie culturali erano tutte nell'ambito d'una sinistra irriducibile - Dario Fo e Maurizio Pollini tra gli altri - ma il suo talento gli valeva l'ammirazione, l'applauso, l'appoggio anche di chi alla sinistra fosse molto estraneo. Come Fedele Confalonieri. Nel credo abbadiano coesistevano sentimenti e impulsi - artistici e non - molto diversi. Una grande attrazione, anche nel repertorio, per il nuovo, e nello stesso tempo un attaccamento altero ai miti di sinistra anche quando erano diventati palesemente obsoleti. Gli accadeva ciò che accade a molti intellettuali: di confondere cioè la sue preferenze di apostolo dei poveri con le preferenze che i poveri hanno davvero.

Negli anni Settanta si prodigò per portare la musica nelle fabbriche, democratizzandola. Intendeva così combattere gli inaccettabili privilegi in forza dei quali i ricchi e i privilegiati potevano frequentare teatri e auditori negati al proletariato. Lo sforzo era nobile, ma le musiche di Stravinskij o di Schönberg o di Luigi Nono non trovarono accoglienza calorosa - che non fosse dovuta - presso le maestranze degli stabilimenti. Ai precetti sociali di Abbado obbediva anche la meritoria iniziativa di sottrarre i ragazzi venezuelani, con la musica, al fascino della strada e della malavita. Abbado aveva ammirazione per l'uomo forte di laggiù, Hugo Chávez, la cui demagogia secondo gli avversari aveva rovinato il Paese. Oltre che al Venezuela di Chávez, Abbado tributava ammirazione alla Cuba di Fidel Castro. Pure lui maltrattato dai puristi della libertà che gli imputavano i giustiziati del paredón, del muro. Al Lider Máximo dedicò - di persona - un omaggio entusiasta quando compì - il Lider - settantatre anni.

Questi cenni non devono far credere che Abbado avesse la tempra e le intolleranze del fanatico. Non fanatico ma convinto, non militante con furore ma credente con algida coerenza. Delle sue opinioni non faceva mistero neppure all'estero, e in occasioni cerimoniali. «È compatibile - disse a Tokyo citando lo scrittore tedesco Peter Schneider - che nella parte più antica e nel cuore culturale del continente europeo ci sia un uomo che controlla l'ottanta per cento dei mezzi d'informazione e che per lo più quest'uomo sia capo del governo?». Si scagliò contro «ministri che non conoscono la ricchezza delle culture in Italia e fuori d'Italia». In questa critica al Palazzo, Abbado emulava, dal versante opposto, una querelle del suo rivale Riccardo Muti con Giovanna Melandri, ministro della cultura nel governo Prodi. La signora aveva disertato l'apertura della stagione scaligera, e Muti si era infuriato: «Brutto segno che un ministro non si faccia vedere alla prima della Scala. Dovrebbe farlo, almeno per capire cosa sia un teatro».

Scintille polemiche che non scalfiscono l'eccelso rango musicale dei due Maestri. Attorno ai quali si sono affollati pettegolezzi e indiscrezioni, come sempre avviene alle celebrità. È stata addossata a Claudio Abbado la colpa d'avere trasferito la sua residenza all'estero. Presumibilmente, se ne deduceva, per evadere le trasse. Miserie, che la solennità della morte rende ancor più meschine. Ad altri è affidato il compito di rievocare la prodigiosità musicale di Abbado. Io mi sono limitato ad accennarne con rispetto ma senza ipocrisie un profilo ideologico. Non sta a me sostenere o negare la necessità, o anche solo l'utilità, dei senatori a vita.

Ma se devono esserci, un posto tra loro ad Abbado spettava sicuramente.

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