«Che bello fuggire dal club degli autori narcisi»

«Che bello fuggire dal club degli autori narcisi»

Quando uscì la leggendaria antologia Gioventù cannibale, nel 1996, Matteo Galiazzo, padovano, allora ventiseienne redattore del Maltese, fu considerato uno degli autori più talentuosi tra quelli coinvolti nell’operazione «pulp». E soprattutto dopo che, da lì a qualche mese, uscì sempre da Einaudi la sua raccolta di racconti Una particolare forma di anestesia chiamata morte, si disse che era lui il più bravo dei «giovani scrittori», il più promettente, l’«esponente di spicco della nuova ondata». Dopo, tra il 1999 e il 2002, arrivano due romanzi. Poi più niente. Sparisce. Smette di scrivere e di pubblicare. Fino a oggi. Mettendo insieme una manciata di vecchi racconti «perduti» - opere postume di un autore ancora in vita - l’editore Indiana riporta in scena Galiazzo. Il libro s’intitola Sinapsi. Connessioni.
Su Wikipedia, alla voce «Gioventù cannibale», il tuo nome, tra i 12 che scrissero nell’antologia, è l’unico che non ha un link. Se non sei su Wikipedia, non esisti.
«Esisto, esisto. Solo non scrivo più».
E cosa fai oggi?
«Programmatore per la Zucchetti, a Genova. Quella di scrittore non è una professione. Io con la scrittura non sopravvivevo. I soldi non bastano. E così ho fatto altro».
Brutto mondo quello letterario?
«Non sono mai stato ottimista sulla carriera letteraria. Inizi col fare lo scrittore, poi ti trasformi: collabori coi giornali, fai conferenze, il giurato in un premio, e poi finisci per insegnare Scrittura creativa. Ero terrorizzato da questa cosa, e ho lasciato perdere. Quello di programmatore almeno è un lavoro».
Perché, scrivere cos’è?
«Per me un hobby. Almeno fino a quando avevo tempo libero. Poi, quando ho iniziato a lavorare, era soprattutto una fatica».
Hai smesso per pigrizia, perché non guadagnavi abbastanza o perché non ti piace il mondo letterario?
«Perché non ho tempo, perché mi servivano i soldi per l’affitto e perché il mondo degli scrittori lo sento... diciamo che lo sento lontano».
Com’è il mondo degli scrittori?
«La maggior parte sono vittime di egocentrismo, infantilismo capriccioso e sindrome da incomprensione. È vero: tutti gli uomini sono così, solo che gli scrittori hanno dei mezzi in più per farlo notare. Presi singolarmente non sono cattivi, è quando interagiscono che saltano fuori invidie, ire, insulti. Strano, perché in ballo non ci sono molti soldi».
Forse lo status dello scrittore è sopravvalutato dal lettore comune.
«Di solito chi ti fa i complimenti è perché sa che hai pubblicato un libro, ma non l’ha letto».
Cosa sono stati i Cannibali?
«Ancora non l’ho capito. Forse una reazione alla narrativa italiana appena precedente, troppo minimalista».
Fu un’operazione a tavolino.
«Di certo tra di noi non ci conoscevamo, non c’era alcuna “poetica” condivisa, alcun manifesto».
Li leggi gli altri cannibali?
«Solo Ammaniti. Invidio la tecnica che usa. Sa aprire un corto circuito di ansia nel lettore che lo obbliga a continuare a leggere».
Cosa legge oggi?
«Di tutto. Più classici che giovani».
Piperno, Giordano o Saviano?
«Giordano non so chi sia. Saviano più che altro è un giornalista. Sì, certo onore al coraggio...».
Moresco, Siti o Busi?
«Siti non l’ho letto. Moresco... boh, alcune cose sono splendide. Frasi potentissime. Lettere a nessuno è bellissimo. Gli esordi non l’ho finito...».
E gli scrittori impegnati? I TQ?
«L’impegno va bene. Ma non è un obbligo. Quello che non capisco è perché l’opinione di uno scrittore deve valere più di quella di un lattoniere».
Sei un intellettuale?
«No, ragioniere».
Ci sono critici letterari che danno 10 a Faletti e 11 a Ibrahimovic.
«Bisognerebbe leggere i libri di Faletti e di Ibrahimovic. Cosa che non ho fatto. Ma forse è una provocazione.

Comunque, trovo la critica letteraria noiosissima: più è divertente un libro, più è pesante la recensione».
C’è gente a cui spiace che hai smesso di scrivere.
«Può darsi. Ma io dovevo sopravvivere. Non potevo sacrificare l’esistenza per dei romanzi».

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