Un condensato di gag e battute nate dalla storia del popolo ebraico

«Avrei qualcosa da dire sul conto di Mosè» dice Golda Meir a un congresso ebraico «ci ha fatto vagare quarant'anni nel deserto...e alla fine ci ha portato nell'unico posto del Medio Oriente in cui non ci sia del petrolio». È una delle barzellette ed anche il frontespizio di Il libro delle storielle ebraiche raccolte da Angelo Pezzana (pagg. 130, euro 8,50) edito da Bollati Boringhieri: da Israele all'antisemitismo più feroce, alla religione, alla famiglia, alla mamma, alla morte nulla è sacro per l'umorismo ebraico. E Pezzana ne raccoglie il succo da intimo dell'argomento, nel suo ennesimo atto d'amore per l'ebraismo.
Il libro si legge in un momento, ma ne resta un senso del tempo lungo e misterioso, perché qui il riso sa scaturire dalla sofferenza è conscio della sua irrinunciabile necessità. Le barzellette ebraiche raccolte da Pezzana fanno sorridere e pensare, a differenza della maggior parte della barzellette. È proprio questo che ne fa un unicum nella comicità. Queste battute sono un gesto di sfida alla sorte e di dolcezza insieme, di gentile avvicinamento a di chi non conosce gli ebrei e di affermazione orgogliosa di sé nonostante tutto. Tu mi volevi far piangere, dicono e io invece rido: di me stesso, ma anche di te. Che cosa la dice meglio sulla tragedia comune dei degli ebrei sovietici e dei loro concittadini che pure li tormentavano durante il comunismo, della storiella del pilota di un volo Aereoflot degli anni 70. Chiede mentre vola da Mosca a Volgograd: «Ci sono ebrei a bordo?». Quando un tipo, timidissimo, si alza e dice «Ci sarei io» lui contento esclama: «Menomale! Verso quale paese occidentale ci dirotti?».

La tradizione dell'umorismo ebraico è addirittura talumdica, ma le facce che ci vengono in mente sono quelle di Charlie Chaplin, di Peter Sellers, di Mel Brooks, Woody Allen e Sacha Baron Choen: tutti si sono abbeverati allo spirito che Pezzana ha raccolto nel suo agile libro.

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