D ifficile non restare travolti da Il gabinetto del dottor Kafka (Nutrimenti, pagg. 192, euro 15) di Francesco Permunian. Sarà perché questo zibaldone assomiglia alla vita stessa: quasi sempre amarissima, comica quando meno te lo aspetti, perfino dolce ma solo a patto di saper trovare la dolcezza in mezzo allo sfacelo. Sarà perché questo zibaldone è scritto in una irresistibile lingua italiana (memore però del veneto) che sa accarezzare quando affronta temi scabrosi e picchiare duro nei momenti di tranquilla contemplazione, che poi sono ridotti quasi a zero. Perché Permunian qui affronta i suoi demoni: i morti che non vogliono morire; l'infanzia mitizzata che diventa una galera; la provincia felix del Polesine e del Garda che nasconde i suoi segreti e i suoi traumi; una società letteraria che come simbolo può aspirare al massimo a una latrina, quella della stazione di Desenzano, visitata da Kafka e da Sebald, e luogo eletto da Permunian come sede ideale ove trascorrere la pensione. Nato a Caverzere nel 1951, arrivato all'esordio letterario nel 1999 con Cronaca di un servo felice (Meridiano Zero), Permunian potrebbe essere descritto come un irregolare che ha trascorso dieci anni della propria vita in manicomio a trascrivere le cartelle cliniche degli altri degenti prima di rinchiudersi in una tranquilla carriera di bibliotecario, come ha egli stesso raccontato pochi giorni fa in una bella intervista a Repubblica.
Definirlo «irregolare» però sarebbe fargli un torto: quelli davvero irregolari, rispetto a un'idea di letteratura in grado di essere importante nella vita di chi scrive e dei suoi lettori, sono i personaggi raccontati da Permunian nell'esplosivo capitolo che, per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo in questa pagina. Permunian non appartiene alla razza degli «irregolari» ma a quella degli scrittori veri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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