Cultura e Spettacoli

Così Le Corbusier inventò l'urbanesimo autoritario

Genio multiforme e padre dell'architettura razionalista viene ricordato in Francia con una esposizione-evento Ma c'è chi lo accusa per la sua simpatia verso il fascismo

Così Le Corbusier inventò l'urbanesimo autoritario

«L'importante non è essere moderni, l'importante è essere eterni», scriveva Le Corbusier anticipando in vita le tesi critiche contemporanee. Pseudonimo di Edoard Jeanneret, architetto, urbanista, pittore e designer, svizzero naturalizzato francese (La Choux de Fond-6 ottobre 1887 / Roquebrune - Cap Martin 27 agosto 1965), un'esposizione al Centre Pompidou ( Le Corbusier. Mesures de l'hommes fino al 3 agosto, catalogo Editions Centre Pompidou, pagg. 280, euro 42) oggi lo celebra e ne sottolinea ancora una volta l'eccezionale attualità.

In occasione del cinquantenario della morte, Frèdéric Migayou e Olivier Cinqualbre, i due curatori, mettono in mostra 60 anni della sua attività e lo fanno a partire dagli esordi, opere e scritti teorici, specie intorno agli anni Venti, in pieno post-cubismo. Incontriamo i suoi primi esperimenti pittorici sulle orme di Braque, Picasso, Lèger e Gris, composizioni dove egli elementi di realtà fanno da sfondo a una ricerca più astratta, pura, dove le linee si intersecano con i colori e i volumi che troveremo anche nelle sue architetture, in alcuni casi questi ultimi sono sospesi su pilastri ( pilotis ) per consentire alla natura di entrarvi.

L'architettura per Le Corbusier era «ricerca paziente», l'uso logico di un metodo per poter pensare la forma in funzione dei principi razionali, un gioco sapiente di volumi sotto la luce: «I cubi, i coni, le sfere, i cilindri e le piramidi, sono le più grandi forme primarie che la luce invera con efficacia, perché sono forme belle, le forme più belle…». Rifacendosi alla lezione del maestro del modernismo pittorico Paul Cézanne diceva che «è necessario partire dalle forme geometriche originarie, per l'appunto, in quanto necessarie per fare dell'architettura e dell'arte in generale, un processo compiuto, ossia trascrivere un'idea epigrafica, cristallizzata».

Una delle 14 sezioni della mostra è dedicata al concetto di «modulor», dove si comprende come Le Corbusier iniziò i suoi passi studiando «l'uomo vitruviano», già ripreso da Leonardo e basato sull'altezza ideale della razza umana (1 metro e 83 cm) e con braccio e mano tesa in alto (2 metri e 20) usato come misura per concepire oggetti ed edifici. Uno studio che gli era servito per studiare spazi come soffitti, porte, finestre, mobili... Il risultato è un'architettura fredda, rigorosa, metodica, sintattica, intersecata da combinazioni irregolari.

Come fondatore del Movimento Moderno «Le Corbu» aveva stabilito dei criteri oggettivi alla base della progettazione (come il famoso decalogo degli elementi architettonici che tutti gli edifici dovevano seguire). Per fare un esempio il tetto piano, il tetto giardino, i pilotis (casa sospesa sulla natura), le finestre a nastro orizzontale, l'abolizione del cornicione e l'uso dell'intonaco bianco. L'interno doveva avere spazi fluidi e composti, le scale erano delle rampe lineari per mettere in comunicazione i vari piani: si vedano la Ville Savoye a Poissy (Parigi) del 1929, Casa Ozenfant, oggi Fondazione Le Corbusier del 1922, l'Immeuble Clartè a Ginevra del 1928.

Sulla base di questo decalogo oggettivo, l'artista introduceva poi degli elementi poetici ed emozionali: è il caso del Centro Soyuz a Mosca del 1929; del Convento di Sainte Marie de Notre Dame du Haut a Ronchamp del 1950-55; del Convento de la Tourette del 1953-59; del Padiglione della Philips all'Esposizione Universale di Bruxelles 1958...

Un discorso a parte merita la progettazione della città di Chandigarth, “nuova” capitale dello Stato indiano del Punjab, iniziata nel 1951, un progetto articolato di strade e palazzi dove tutto si giocava sulla concezione urbanistica. Da un lato gli edifici governativi (Il Campidoglio, Il Palazzo di Giustizia, il Segretariato e l'Assemblea Nazionale) e dall'altro abitazioni e vie spesso scavate nel terreno per proteggersi dall'alta temperatura, come sarà anche il caso nei progetti urbanistici in Algeria e per il Brasile… Città create sulla base di un percorso autostradale con i complessi abitativi sotto il nastro infrastrutturale. Per il Centro Olivetti a Rio di Janeiro, i criteri saranno gli stessi.

Architetture bianche o colorate (colori puri), linee e materiali rimangono un ordine precostituito: un esempio per tutti è l'Unitè d'Habitation di Marsiglia del 1950 (che, da ministro della Cultura, André Malraux farà classificare tra i monumenti nazionali). Qui, all'interno delle abitazioni, quadri, chaises-longues, poltrone in pelle e metallo, sedie e tavoli a misura d'uomo, con vasche tonde di pesci rossi che si stagliavano sul bianco delle pareti dei bagni e delle cucine essenziali disegnati con le minime dimensioni possibili come faceva anche l'architetto tedesco Klaine, rimandavano all'idea stessa di funzionalità.

In mostra ci sono i suoi testi più famosi (tutti tradotti anche in italiano): da IL (Mondadori, Electa), a L'urbanistica (Il Saggiatore), da La mia opera (Bollati e Boringhieri) a MD (C. Marinetti) e OL-0.1 (C. Marinetti)...

A margine di questa grande mostra è però il dibattito sul suo fascismo a tenere banco nella Parigi intellettuale che conta. Sono ben tre le biografie appena uscite che affrontano il problema: Un Corbusier , (Seuil), di François Chaslin; Le Corbusier. Un fascisme français (Albin Michel), di Xavier de Jarcy; Le Corbusier, une vision froide du monde (Michalon), di Marc Perelman.

Le pezze d'appoggio che giustificano le accuse non sono numerose, ma circostanziate. Alcune lettere alla madre, dell'agosto e dell'ottobre del 1940, in cui si criticano gli ebrei, «la loro cieca brama di denaro», e si auspica che Hitler possa coronare «la sua vita con un'operazione grandiosa: la pianificazione dell'Europa»; l'appoggio fin dall'inizio al governo filotedesco di Vichy, che gli varrà la nomina a ricostruttore delle aree urbane distrutte dalla guerra; l'amicizia con politici, Pierre Laval, Hubert Lagardelle, scienziati, Alexis Carrel, romanzieri, Jean Giroudoux, tutti “collaborazionisti” convinti.

Per la verità, non si tratta di rivelazioni nuovissime. Già nel 2008, uno studioso anglosassone, Nicholas Fox Weber, ne aveva dato conto nel suo Le Corbusier. A Life (Knopf), ponendo oltretutto l'accento sul milieu culturale nel quale «Le Corbu» si era formato. Nel 1925, quando è già trentottenne e il fascismo è ormai una realtà, le sue amicizie ruotano intorno al partito Le Faisceau, di George Valois. Cinque anni dopo fonda con Pierre Winter, medico e seguace di René Guenon, Plans , una rivista di chiara simpatia fascista. Nel 1933, con Hubert Lagardelle, lo stesso politico-intellettuale che poi ritroverà a Vichy, la rivista Prélude , il cui obiettivo, annuncia, «è la conquista dello Stato» grazie agli uomini nuovi, «portatori di soluzioni» che in Europa sono già apparsi e che «la Francia attende». Deriva da questo humus intellettuale, dicono ora i biografi francesi prima citati, il suo «urbanismo autoritario» che lo porta negli anni Trenta a chiedere un'udienza personale a Mussolini, in vista dell'Africa Orientale italiana da costruire dalle fondamenta, così come a corteggiare la Russia dei soviet e dei piani quinquennali. Che in entrambi i casi la risposta sia negativa, non modifica il giudizio.

Nella grande esposizione parigina, di tutto questo non c'è traccia, ma va anche detto che il j'accuse lanciato nei confronti di Le Corbu rivela la coda di paglia di una nazione che con la sua storia novecentesca non ha mai fatto veramente i conti. Anche François Mitterrand, per fare soltanto un nome, proveniva da un ambiente ideologico-culturale simile e a Vichy ebbe responsabilità politiche di gran lunga superiori, sapientemente poi rimosse nel dopoguerra sino a portarlo alla presidenza della Repubblica.

Il fatto è che a settant'anni e passa dalla Seconda guerra mondiale continua a permanere l'idea che non si potesse essere fascisti e intelligenti.

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