«La cultura è un festival che riempie la mente (e anche il portafogli)»

«La cultura è un festival che riempie la mente (e anche il portafogli)»

Studi classici alle spalle che hanno cementato l’impegno politico, una carriera accademica che ha mitigato l’attività “amministrativa”, e una passione confessata per la musica che fa da contraltare all’entusiasmo mediatico, Renato Brunetta - veneziano di nascita e ravellese di rinascita, che non è più ministro ma ha mantenuto la determinazione dell’uomo di comando - da quando è diventato presidente della Fondazione Ravello, ha militarizzato la gestione di una delle manifestazioni più prestigiose d’Italia. Conforme al principio della massima valorizzazione dei nostri beni culturali, ha trasformato un festival estivo in permanente, o quasi. «Abbiamo a disposizione un’opera straordinaria come l’auditorium di Niemeyer e una location unica al mondo come la costiera amalfitana, perché limitarsi a un evento stagionale? Così ho inventato il progetto 10/Dodici, che significa rendere fruibile il “contenitore di Ravello” per 10 mesi su 12, aumentando l’offerta culturale e incrementando i flussi turistici nella logica della de-stagionalizzazione, “aprendo” la costiera tutto l’anno».
E così apre la stagione ad aprile, con il concerto di Pasqua...
«... e la chiudo a dicembre con quello di Natale. Due grandissimi spettacoli, trasmessi dalla Rai, che rilanciano lo sforzo di Ravello e della Campania».
Sempre puntando sulla musica classica... un po’ troppo di nicchia, non trova?
«Sulla classica, certo, che è l’essenza del festival, ma anche jazz, musica popolare, e poi balletto, cinema, mostre d’arte. E attività di formazione, con l’apertura di tre Accademie: di danza, musica e management culturale, per preparare i futuri manager dei Beni culturali...».
Perché per fare un festival come Ravello servono parecchi soldi, e per far fruttare la cultura servono manager che sappiano valorizzarla...
«Io, da presidente della Fondazione, non guadagno un euro. Ma so che per far funzionare una “macchina” come quella di Ravello servono soldi. Molti. E la mission è raddoppiare il budget del Festival senza chiedere più soldi al pubblico ma facendo leva sulle risorse private. La mia soddisfazione sarà, la sera della prima, vedere schierati sotto il palco cento loghi di imprese italiane e internazionali che hanno investito in questa risorsa».
Meno pubblico e più privato anche nei beni culturali.
«Nei beni culturali da troppo tempo e troppo spesso ci sono sprechi, opportunismi e inefficenze... Tanto paga Pantalone... Tanto c’è lo Stato che finanzia. Adesso basta. Bisogna aprire il più possibile ai privati, andare a chiedere loro soldi...».
È difficile - lo ammette lei stesso - trovare gente che dà soldi a un’eccellenza come Ravello, e con lei come front-man, che è un politico conosciuto... Immaginiamo gli altri...
«Non è vero. Se c’è una bella idea, serietà e fantasia, arrivano anche i soldi. Basta crederci e offrire un “prodotto” culturale qualitativamente alto. E i privati ci stanno».
Molti dicono che queste cose è meglio continui a gestirle lo Stato, per non svendere il suo patrimonio. I privati è meglio stiano fuori dal Colosseo...
«Ma basta con questa finta sacralità della parola Cultura. Semmai la sacralità della Rendita... Guardi, se il pubblico è forte, non ha paura dei privati. Se invece è sprecone e clientelare, allora si chiude. Un pubblico consapevole della propria forza non teme sopraffazioni... Pensi agli enti lirici...».
Ecco, gli enti lirici...
«Ma è possibile che l’Italia abbia 15 enti lirici? 15! Ne bastano, come succede all’estero, due o tre. Gli altri se li pagano le comunità locali. Altrimenti gli sponsor. Se si continua a pensare che tanto paga lo Stato, si avranno sprechi enormi e magari qualità bassa. Serve competizione, mercato, sponsor».
Servirebbero anche sgravi fiscali a chi vuole restaurare una chiesa o aiutare un ente culturale, come negli Usa.
«Ma gli sgravi ci sono anche da noi, solo che sono pensati male, e non bastano. Serve passione e un buon progetto. Così si “usano” i privati senza sfruttare lo Stato. Assolvendo al diritto-dovere di produrre cultura in termini sostenibili».
E i fondi pubblici allo spettacolo: il cinema va aiutato o no?
«Aiutato, non assistito. E poi un conto è lo spettacolo, un altro la cultura. La seconda è un bene pubblico, il primo non è detto. Lo Stato non finanzia uno scrittore che vuol scrivere un romanzo da premio Strega... Perché deve finanziare un regista che vuole fare un film “di interesse culturale”? Quando - ma a posteriori - arriverà il capolavoro, allora quell’opera sarà un “fatto culturale”. Dopo ci può essere un riconoscimento della collettività, prima è solo mungere denaro pubblico».


Quindi il Fondo per lo Spettacolo...
«Quei soldi è meglio darli a musei, archivi, biblioteche, cioè a beni pubblici. Non a privati che vogliono farsi la loro “opera d’arte”. Lì vale il mercato».
Un posizione dura.
«Una posizione liberale».

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