Dai sali d'argento al video: la fotografia si mixa con l'arte contemporanea

Ad Arles 60 mostre per l'evento di settore più importante d'Europa. Con i reportage storici di Koudelka e i diovanissimi talenti d'Oriente

Sono passati trent'anni da quando, quasi per scommessa, nacque in Provenza, ad Arles, città altrimenti nota per il soggiorno di Van Gogh, un piccolo festival di fotografia che con il tempo si è ingrandito fino a diventare il più importante d'Europa. Ambito, va detto, assolutamente ibrido e di difficile definizione man mano che ci avviciniamo al presente. Perché se nel 1982 «Les rencontres» erano incentrati soprattutto sui fotografi di professione, quelli che cioè ritengono il mezzo unico e essenziale all'espressione del proprio linguaggio, oggi la fotografia si è incontrata con l'arte contemporanea, si è mimetizzata con il video e l'installazione, ha invaso lo spazio e assunto dimensioni anche gigantesche. Della vecchia stampa ai sali d'argento è rimasta una lieve traccia, il gusto vintage di chi si ostina (e fa bene) a raccogliere quegli originali su carta baritata che al tempo non avevano pressoché mercato mentre oggi sono ricercatissimi e hanno ben più fascino di uno still da video o di un ritocco iperrealista a photoshop.
Tra le 60 mostre che compongono questa ricchissima edizione di Arles, senza contare i 50 stages programmati fino al 23 settembre, si può davvero scegliere la crème della fotografia «storica» (sembra un ossimoro per una disciplina recente, ma è davvero così) e quella contemporanea, propendendo decisamente per la prima ipotesi, a partire dallo spettacolare portfolio completo di Josef Koudelka, «Gitani», finalmente completo dopo 36 anni. Sono scatti realizzati durante il regime comunista dell'ex Cecoslovacchia, ritratto di un popolo ai margini, con un bianco e nero di bellezza assoluta che racconta storie di un realismo devastante. Comparso per la prima volta nel 1975, e mai più rieditato, s'impone come uno dei reportage più importanti nella fotografia europea: mostra davvero imperdibile del mini ciclo «Diversità» che include anche gli scatti del regista israeliano Amos Gitai e la collezione Jan Mulder sulla foto latino-americana, storie e contraddizioni di un continente teso e affascinante.
Se c'è un limite anche stavolta è per eccesso, perché è impossibile vedere tutto e la foto pare aver preso il vizio dell'arte contemporanea, di disseminare mostre ed eventi in ogni dove. Alcune cose vale la pena di appuntarsele: «Archivi Alinari e la sintassi del mondo (omaggio a Italo Calvino)», dove dalla celebre raccolta fiorentina, compresa tra 1852 e 1920, escono capolavori italiani misconosciuti, ai tempi in cui la fotografia non era (ancora) un'arte e dunque si faceva ammirare senza il ricorso a particolari sovrastrutture concettuali. Altra mostra curiosa è «Mannequin», ovvero il corpo nella moda, che parte dai couturier di inizio XX secolo e arriva fino a Kate Moss, icona postmoderna di un fenomeno sociale.
Piccoli gioielli, talvolta anonimi, che ci si porterebbe volentieri a casa, spendendo 1.000 euro o poco più, mentre nel grande Parc des Ateliers va in scena l'arte fotografica contemporanea, spesso senz'anima e senza regole, dove colpisce il glamour e la dimensione dell'immagine, un frullatore in cui finisce dentro di tutto, dai ritratti posati alle megalopoli orientali del terzo millennio, dall'inviato speciale che si entusiasma per la povertà in Africa agli esperimenti che sfiorano la pittura astratta. Secondo tale criterio anche il video è fotografia, immagine in movimento ma pur sempre tecnicamente riproducibile.
Cosa scegliere in questo caos vitale? Ad esempio i ritratti minimali di Anni Leppälä, giovane esponente della scuola finlandese dal tono freddo e minimale; le scene d'interno di Aurore Valade, scattate in un workshop realizzato a Torino, dove i personaggi sono inseriti all'interno di stanze colme di libri e giornali; la vita ai piedi di un reattore nucleare raccontata dal coreano Chu Ha Chung, a testimonianza del grande interesse culturale e di mercato che la fotografia riscuote in Cina e in tutto il Sud Est asiatico. Uno dei lavori più interessanti è quello di Nadège Mériau, tunisina che lavora a Londra, che con un obiettivo molto particolare si inserisce all'interno di alimenti (pane, vegetali) regalandoci visioni organiche che sembrano film di fantascienza. E infine l'ex enfant prodige di casa, Olivier Metzger, affermato da tempo sulla scena internazionale, che dedica l'ultimo suo portfolio al sorriso triste ed enigmatico di un'anziana.


Tutti autori che aspirano al mondo dell'arte contemporanea e stentano a definirsi puri fotografi. D'altra parte il remix è tendenza dei nostri tempi e il valore di mercato dell'arte ha traguardi decisamente più elevati.

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