Cultura e Spettacoli

Duse, la Divina mantide che divorò d'Annunzio

Dall'epistolario quasi ventennale con il Vate emerge l'autoritratto di una donna tutt'altro che dominata dalla personalità dell'amante. Nel lungo sodalizio fu lei a tenere le redini

Duse, la Divina mantide che divorò d'Annunzio

Era Eleonora Duse, come potremmo accusarla di far troppo «teatro»? Era «la Divina», come potremmo imputarle comportamenti terra terra? Era una donna matura travolta dalla passione per un vecchio ragazzo di cinque anni più giovane, come potremmo non prendere le sue parti?

In questa chiave s'è letta e riletta, almeno a far data dalla morte di lei, 21 aprile 1924, la relazione fra la grande attrice e il grande scrittore. Lei eterea e malaticcia, lui carnale e sulfureo; lei ostaggio delle trance recitative, lui dittatore degli altrui sentimenti; lei foglia ipersensibile esposta ai venti di alterne stagioni, lui motore immobile che orchestra i movimenti di una vasta corte prostrata ai suoi piedi.

Invece no, tutt'altro dicono le lettere, i messaggi, i foglietti volanti decollati dal cuore di lei e planati fra le mani febbrili di lui, il quale li ha gelosamente custoditi e che oggi finalmente escono, tutti insieme e quasi tutti inediti, in un monumentale volume da Bompiani curato da Franca Minnucci. Come il mare io ti parlo contiene la corrispondenza dal settembre 1894, epoca del primo incontro veneziano, al 1923, dopo il fugace riavvicinamento milanese, con l'ultimo, frettoloso tête-à-tête milanese all'Hotel Cavour dell'estate '22.

Parlare di totale ribaltamento dei ruoli, rivoltare come un calzino le esistenze di una donna e di un uomo che, in modi diversi, si subirono, reciprocamente e riflessivamente, sarebbe esagerato. Ma, come spiega senza indulgere alla partigianeria Annamaria Andreoli nel saggio-postfazione Storia e leggenda dei «divi» amanti, è tempo di correggere la vulgata. Se non altro partendo da un dato storico nudo e crudo (soprattutto crudele, se vogliamo): lei diede mandato di distruggere quasi tutte le lettere di lui. E i pochi lacerti dannunziani disponibili qui presentati hanno la funzione di timido intercalare al monologo della regina del palcoscenico.

Scottata dal Fuoco, il romanzo-verità in cui d'Annunzio raccontò di loro usando i personaggi di Stelio e Foscarina, ingelosita fino al parossismo dalle frequentazioni femminili (non certo caste, no) del suo Gabri, o «figlietto» o «boboletto», insofferente della libertà creativa del socio che lo distrae dal grande progetto di dotare l'Italia di un teatro nazionale e popolare, Eleonora a tratti si rivela, dietro le sopracciglia magistralmente arcuate a mimare sofferenza, una mantide vegetariana.

Che colse la bacca d'Annunzio per mangiarla a piccoli morsi.

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