«È che la malaria ventra nelle ossa col pane che mangiate, e se aprite bocca per parlare, mentre camminate lungo le strade soffocanti di polvere e di sole...». Così scriveva Giovanni Verga attorno al 1882, in una sua novella, vera più del vero, e che appropriatamente si intitolava: Malaria. E lo scriveva perché, anche se ce lo siamo dimenticati, lItalia è stata a lungo la patria di questa malattia infida, che va e che viene, che fa stramazzare di febbre, gonfiare le pance, che rende inabile chi non uccide. Un morbo tanto nostro, tanto italico, che il nome non viene da qualche lingua tropicale. Malaria è nientaltro che «mal aria», aria cattiva, che avvelena e che attossica. Un nome antico, nato quando si credeva, e lo si è creduto sin quasi alla fine dellOttocento, che a provocare la piressia intermittente fossero i miasmi palustri, un qualche fluido malefico secreto dalle putredini della terra.
La storia della lotta contro questa malattia e della sua sconfitta (attraverso la scoperta del ruolo della zanzara) è dunque storia dItalia. Un pezzo di storia molto poco indagata. Almeno sino al recente impegno di Frank M. Snowden, storico della medicina dellUniversità di Yale, che nel suo La conquista della malaria. Una modernizzazione italiana 1900-1962 (Einaudi, pagg. 311, euro 25) ha ricostruito la lunga lotta che il nostro Paese ha combattuto contro questo che era un vero e proprio flagello. Sfogliando le pagine del saggio ci si rende conto di quante conquiste sociali siano nate proprio dalla necessità di fronteggiare e vincere quello che veniva chiamato il «mal palustre o paludismo». Bonifiche, la nascita di unavveniristica scuola di malariologia con medici di fama internazionale, il tentativo di alfabetizzare le campagne, lo sviluppo di un sistema sanitario nazionale.
Insomma la malaria è un modo insolito di riguardare il passato dello Stivale. Che spiega cose grandi e piccine. Compresa la diffusione delleucalipto in buona parte della penisola e la peculiare forma arroccata dei paesini meridionali.
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