Fulvio Roiter e l'arte di pescare immagini nel fiume della vita

A 87 anni ricorda i suoi inizi: "Il cinema fu la mia prima passione". Oggi abita al Lido ma non vede più i film della Mostra di Venezia...

Fulvio Roiter e l'arte di pescare immagini nel fiume della vita

dal nostro inviato a Venezia

Pausa, silenzio e sguardo perso. Tempi perfetti per un film di Tsai Ming-liang, il maestro taiwanese appena premiato a Venezia per il contemplativo Stray Dogs (Cani randagi). Qual è l'ultimo film che ha visto alla Mostra del cinema? Scena muta, come quella di uno scolaro impreparato. Fulvio Roiter, memoria randagia, ha 87 anni e una gamba malandata in seguito a una caduta. «Mio fratello, primario a Treviso, dice di fare attenzione, guai se cado un'altra volta». Sale lentamente i gradini che ci conducono all'attico: «Davanti vedo il mare e dietro la laguna. Un posto magico».

La casa del grande fotografo veneziano confina con i palazzi della Mostra del cinema, tra il «buco» recintato causa amianto e lo storico hotel Quattro Fontane. Travi in legno a vista e una corona di finestre sul mare, sembra un vecchio galeone in cui Roiter si muove come il capitano di Melville. Fino agli anni '70 l'edificio era della Ciga Hotel. «Era il posto che sognavo, ci venivo a passeggio con mia moglie. Magari un giorno... Quando iniziarono la ristrutturazione incaricai un amico di avvertirmi in caso di vendita. Tornato da un viaggio in Argentina, il mio amico me dise: varda che i a ga' vendua.

Come vendua?, gli urlo». Non era ancora tutto fatto, ma a Roiter mancavano i soldi e Mondadori non voleva saperne di pubblicare Essere Venezia nel formato orizzontale che lui riteneva indispensabile. Come si fa a metterlo in biblioteca? «In biblioteca? Te lo metti in quel posto... Una sera vado in Friuli a mostrar delle diapositive e vien fuori che avevo degli scatti su Venezia nel cassetto. Avanza uno: li pubblico io. Era l'editore della Magnus. Va bene, ma dovete mettervi in ginocchio e obbedire. Il giorno dopo mi chiamano: ecco l'anticipo. 'Na barca de schei; potevo comprare la casa. Il libro precedente aveva venduto quattromila copie. Essere Venezia arrivò a mezzo milione. Fu mia moglie a scegliere il titolo. Zanzotto mi aveva mandato il testo e proponeva Venezia, forse. Macché. Quella sera vaso alla premiazione del Campiello e dico a mia moglie: Andrea ha mandato il testo, ma non mi viene il titolo. Leggo e te lo trovo io, mi fa lei. Ero scettico, invece quando torno... prendiamo l'ultima parola del testo, “essere”, e la mettiamo davanti: Essere Venezia».

Nativo di Meolo, paesino dell'entroterra, il giovane Fulvio scalpita e cerca appigli. «Il cinema fu la prima passione. Andavo sul Piave con una cinepresa Arriflex e filmavo le ciminiere che con i sassi del greto producevano il carbonato di calcio. Presto mi accorsi che il cinema era qualcosa di costoso, frutto di lavoro di équipe. Nella fotografia potevo decidere e fare tutto da solo. Avevo 22 anni e dalla campagna venivo spesso a Venezia, nel '48 era nato il circolo fotografico “La Gondola”. C'erano Paolo Monti e tanti altri. Mi abbonai alla rivista Ferrania, emanazione di una ditta del paese ligure che produceva materiali fotografici. Pubblicavano le foto dei lettori a patto che fossero abbonati. Un giorno ricevo la rivista e vedo due scatti miei fatti al castello di Gorizia. Erano firmati F. R. Meolo... Chi xe 'sto qua?, si chiedevano. Non fu un'esplosione professionale, ma una progressione. Il cinema? Frequentavo la Mostra quando andavamo al cinema San Marco. Avevo visto Spasimo dello svedese Sjöberg, conobbi Julien Duvivier perché ero amico del figlio e avevo visto Il grande valzer. Poi Jean Renoir... che regista. Mi ricordo Il fiume. Io andavo sul Piave, scattai quella foto che intitolai L'uomo del fiume e la ditta Voigtländer me la comprò. Una volta i registi che passavano dal Lido erano destinati al successo».

Per Roiter il successo arriva al secondo libro, nel 1956, con Ombrie. Terre de Saint-François pubblicato da un editore svizzero. Illustrava in bianco e nero i fioretti del Santo di Assisi e vinse la seconda edizione del Premio Nadar. «Mi ricordo che volevano farlo fare a un collaboratore di Rossellini. Ma l'editore si oppose: o Roiter o niente. Era l'ottobre del '54. Sembrava tutto finito, quando il 4 gennaio mi arrivò un telegramma: Gubbio è sotto la neve, venga presto. Nacque così la foto del camposanto, le croci e gli arbusti scheletrici che spuntavano dal bianco. Cinema e fotografia sono cugini», dice Roiter. A volte fratelli. Al Lido abitano gomito a gomito e si sfiorano. «Ho letto, ho seguito i commenti del festival. Il cinema è emanazione della vita di tutti i giorni. È un modo per appassionare e stimolare il pubblico.

Un maniaco lo puoi trovare per strada, ma non si può coinvolgere la gente con il culto dell'osceno. Com'era il film di Wajda su Walesa? E la Fallaci, com'era l'intervista?». No, Roiter, le faccio io una domanda: qual è l'ultimo film che ha visto alla Mostra?

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