Cultura e Spettacoli

La guerra dei media e il futuro dell'informazione

Negli ultimi 20 anni una rivoluzione silenziosa ha trasformato il mondo dell'informazione. Ne parla Jill Abramson nel suo ultimo libro uscito in Italia: "Mercanti di verità. La grande guerra dell'informazione"

La guerra dei media e il futuro dell'informazione

Nell'ultimo ventennio una rivoluzione silenziosa ha trasformato radicalmente il mondo dell'informazione. La rivoluzione di cui stiamo parlando, la stessa che pochi hanno studiato e compreso a fondo, è figlia di più concause tra loro collegate. L'avvento di tecnologie innovative, la comparsa dei social network, l'importanza dei big data. E ancora: la crisi della raccolta pubblicitaria e, più in generale, l'insorgere di molteplici crisi economiche. Ebbene, tutto questo ha dato vita a nuovi modi di informare i cittadini.

La trasformazione del mondo dell'informazione

I quotidiani tradizionali, le riviste e le testate televisive e radiofoniche, hanno visto evaporare il proprio pubblico di riferimento come neve al sole. Stanno anche gradualmente perdendo autorevolezza, prestigio e potere di influenzare i lettori, in un processo che, in certi casi, appare ormai irreversibile. Allo stesso tempo sono sorte, sul web e in digitale, realtà che hanno cambiato la cronaca dei fatti, delle notizie e perfino il concetto di verità giornalistica. La rivoluzione dei media ha generato due eserciti contrapposti: quello dei vecchi media contro le truppe dei nuovi mezzi di informazione. La guerra dei media è ancora in corso, non sappiamo come si evolverà né chi sarà il vincitore, anche se tutti gli indizi lasciano presagire che il futuro del giornalismo sarà appannaggio dei new media.

Questa guerra è proprio il tema centrale dell'ultimo libro di Jill Abramson, pubblicato in Italia da Sellerio con il titolo di Mercanti di verità. La grande guerra dell'informazione. Abramson, storica prima direttrice donna del New York Times tra il 2011 e il 2014 (oggi editorialista politica al Guardian e docente alla Harvard University), ha ricostruito passo dopo passo che cosa è accaduto al mondo dell'informazione. E lo ha fatto fondendo in un imprescindibile volume il linguaggio tipico di un reportage ad un'esperienza narrativa ricca di testimonianze, cronaca nuda e pura e descrizione degli eventi. In circa 800 pagine – non spaventatevi, perché il racconto scorre in maniera agile dall'inizio alla fine – Abramson ha preso in esame quattro realtà editoriali americane: il New York Times e il Washington Post, ovvero due quotidiani appartenenti all'esercito degli old media, e BuzzFeed e Vice, due campioni della new school.

Old media vs new media

Il confronto tra i due mondi è emblematico. Da una parte troviamo Times e Post, leggendari quotidiani statunitensi roccaforti dell'etica giornalistica, forti di un pubblico di riferimento consolidato ma sempre più anziano. Due quotidiani - uno controllato dalla famiglia Sulzberger, l'altro appena acquistato dal "papà" di Amazon, Jeff Bezos - che hanno dovuto reinventarsi per continuare a incidere sul grande pubblico. Due aziende costrette a rilanciare i loro siti online fino a farli diventare siti di enorme successo, tra tagli di centinaia e centinaia di posti di lavoro a causa della crisi e di scelte non sempre azzeccate, e la possibilità di utilizzare l'arma dei social network per imporsi nel mondo virtuale.

Dall'altro lato, Abramson racconta la storia di due nuovi media riusciti a stravolgere ogni regola del giornalismo rivolgendosi a un pubblico giovane e trasversale: Vice, la creatura di Shane Smith, e BuzzFeed, l'invenzione di Johan Peretti. Il loro marchio di fabbrica è rappresentato da articoli e video a metà strada tra l'informazione e l'intrattenimento. Le "10 bevande per tenervi idratati", le "21 foto che ti ridaranno fiducia nell'umanità" nel caso di BuzzFeed, oppure documentari girati in Pakistan o in Corea del Nord per quanto riguarda Vice. Se in un primo momento realtà del genere erano più affini all'infotainment che non al giornalismo con la g maiuscola, da qualche anno entrambe le testate hanno allestito potenti redazioni per coprire notizie politiche e tematiche ben più serie, con risultati più che ottimi.

È altamente probabile che i giornali di carta continueranno a esistere solo come contenitori di approfondimenti ed editoriali, e che il grosso dell'informazione si trasferirà sul web. È probabile anche che soltanto le testate che riusciranno a investire in maniera corretta "sull'online" potranno sopravvivere e competere con Vice, BuzzFeed e i loro fratelli.

Comunque vada a finire la sfida tra vecchi e nuovi media, abbiamo una certezza: il giornalismo non morirà mai.

Mercanti di verità

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