di Alessandro Gnocchi
Non è mai il George Orwell che ti aspetteresti, quello dei saggi raccolti in Letteratura palestra di libertà (Mondadori, pagg. 258, euro 11). Come nota il curatore Guido Bulla, l'autore di 1984 prende posizioni sorprendenti. Anti-imperalista convinto, salva Rudyard Kipling. Volontario nella guerra di Spagna, massacra gli scrittori inglesi antifascisti degli anni Trenta per esaltare Henry Miller, il quale, tra l'altro, gli aveva pure dato del cretino proprio per aver rischiato la vita in quel conflitto. Socialista rivoluzionario mai pentito, tesse l'elogio di Céline e Poe. Scrittore impegnato, mostra di apprezzare i «buoni brutti libri», ovvero l'intrattenimento, che preferisce alle opere pretenziose. C'è un filo conduttore che spiega molto, se non tutto. Orwell, scrive Bulla, crede nell'esistenza di «una scrittura positiva e vicina alla vita, utile a comprendere noi stessi e a instaurare un rapporto col mondo». Ma crede anche nell'esistenza del rovescio della medaglia, ovvero «un'ombra oscura e negativa (della scrittura, ndr) che in ultima analisi controlla e distrugge la nostra personalità». Il critico letterario George Orwell, insomma, non premia l'autore «più bravo» ma quello «più laico» rispetto alle ideologie accettate come articolo di fede. Naturalmente tralasciare (o quasi) l'aspetto estetico e fondare il giudizio sul background degli autori recensiti rischia di diventare una visione a suo modo ideologica. Il che spiega alcuni clamorosi errori di valutazione artistica. Orwell affonda il Graham Greene del Nocciolo della questione e addirittura l'Eliot degli eterni Quattro quartetti: sente in entrambe le opere il peso di una troppo rigida adesione al cattolicesimo (dal suo punto di vista, equivalente all'adesione acritica ai soviet). C'è poi in queste pagine un altro filo conduttore, chiarissimo nell'estratto che vi proponiamo, ovvero la polemica contro lo snobismo degli intellettuali. A farne le spese sono gli ipocriti dell'umanitarismo, i rivoluzionari da salotto, i socialisti che disprezzano il popolo. Ma anche in questo caso la lotta contro «il cerebralismo» miete vittime innocenti: a esempio Virginia Woolf, scaricata a vantaggio dei «buoni brutti libri» di cui si diceva.
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