L'arte contemporanea? Non è più sacra, ma sacrilega. E l'estetica della nostra epoca? Imbarbarita. Le arti-star? Bravissime, ad applicare le migliori strategie di marketing: creano opere tecnicamente inconsistenti, anche se quotatissime. Hirst, Fabre e Cattelan? Sono dei bluff. Il circuito delle gallerie, del collezionismo e delle aste? L'industria delle patacche milionarie, un «prodottificio» a ciclo continuo che sforna falsi capolavori secondo i trucchi della peggiore manipolazione finanziaria. I musei? Magazzini scintillanti, depositi di civilizzazioni defunte, presi d'assalto da turisti ciabattoni alla ricerca del «pezzo» pop o della mostra evento.
Sono le massime filosofiche e iconoclaste di Jean Clair, storico dell'arte e accademico di Francia, polemista d'assalto, impietoso verso il sistema dell'arte contemporanea e delle attuali politiche culturali, in cui il valore non è dato dall'idea dell'opera, ma dalla propaganda del mercato.
È il critico più critico di tutti. E quindi il migliore.
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