Se Mo Yan anziché cinese fosse stato lo scrittore di regime del Cile di Pinochet il Nobel oggi non l'avrebbe mai preso, tantomeno se fosse stato la mascotte di Vladimir Putin, amico di Berlusconi. Anzi avrebbero organizzato appelli e proteste, figuriamoci: ancora dobbiamo smaltire le riserve per Céline, Nietzsche, Pound, D'Annunzio e compagnia bella di scrittori senza bollino progressista di qualità.
Invece, siccome Mo Yan è cinese, emana comunque il fascino discreto della cineseria di Stato post Mao Tze Tung, e d'altra parte, fin prima del Nobel, era già un autore Einaudi, mica Adelphi. Per cui mi è bastato leggere i due discorsi che l'Einaudi ha messo sul suo sito, quello di Mo Yan per il ricevimento del Nobel (la Nobel Lecture), e quello di Antonio Moresco per difendere Mo Yan da non si sa chi, per capire una cosa che era sotto gli occhi di tutti: gli scrittori italiani sono tutti cinesi, a cominciare proprio da Moresco, più cinese di Mo Yan, tanto che nella foto gli sono venuti perfino gli occhi a mandorla, da oggi in poi Mo Resco. Non si possono leggere senza rabbrividire, sono due pistolotti di una burocrazia letteraria da paura.
In sostanza Mo Resco dice che non bisogna giudicare Mo Yan per le sue posizioni, ma bisogna giudicarlo per i suoi libri, ma che bella scoperta. Poi ti racconta i suoi libri e viene fuori una cinesaggine narrativa da paura. Facciamola breve: se il canone è occidentale una ragione c'è, e se Mo Yan fosse stato Proust bastava dire «Questa è la Recherche, che volete di più? Poche chiacchiere». Invece Mo Resco ti deve spiegare come «l'opera di Mo Yan sia in realtà intimamente perturbante rispetto alla visione del mondo e alle coperture ideologiche del regime in cui si trova a vivere, di come sia addirittura spietata nei confronti delle manifestazioni della macchina del potere...», sembra un modulo del Minculpop. Mo Yan invece ti racconta tutta la sua vita dalla culla al Nobel, che sinceramente è una vita da cinese pallosissima: il giorno della Festa della Luna, la mamma che muore buttata lì per commuovere, il villaggio dove è nato, il mercato, i proverbi, due palle cinesi che vi risparmio. E comunque finisce così, sentite qui: «Sono un cantastorie. Raccontare storie mi ha fatto vincere il Nobel. Molte cose interessanti mi sono successe dopo aver vinto il premio, e mi hanno convinto che la verità e la giustizia sono in ottima forma». Neppure Flavia Vento.
E però poi, appunto, a rifletterci bene, da noi sono tutti cinesi mancati, mica solo i Wu Ming, che già si chiamano Wu Ming, ma perfino i più insospettabili, basta osservarli bene. È per questa ragione che nessuno scrittore italiano ha fatto neppure un appellino per Alessandro Sallusti condannato al carcere, né per l'incursione della Digos al Giornale. Perché ragionano come Mo Yan, perché neppure Mo Yan l'avrebbe fatto per un oppositore del regime.
E allora guardatelo bene, non è cinese Antonio Pennacchi, da oggi Pen Nakki? Basta sostituire all'Agro Pontino le risaie e il gioco è fatto. E non è cinese Aldo Busi, da oggi Aldo Bu Xing, il più grande scrittore italiano cinese vivente dopo Mo Yan, con questa fissazione della letteratura e dell'omosessualità come rivoluzione politica? Basta ambientare Vita Standard di un Venditore di Collant a Xinzhuang anziché a Montichiari e non fa una piega, neppure una smagliatura. Tra l'altro ha appena pubblicato per Dalai L'especialista de Barcelona, che credo sia una città cinese, e è stato ospitato in tutte le trasmissioni cinesi de La7. È cinesissimo Sebastiano Vassalli, ultimo libro Comprare il sole, tipico titolo cinese, editore ovviamente Einaudi, tipico editore cinese. Metti un cinese sul Monte Wutai e ti viene fuori Mauro Corona, dagli un podere, un cane e una chitarra nella campagna di Longsheng e viene fuori Andrea De Carlo.
Non si salvano neppure i conduttori: Michele Santoro, in cinese Santoroki, non c'è bisogno di dirlo, è il più cinese, già la scenografia di Servizio Pubblico potrebbe andar bene per la trasmissione ufficiale dell'Assemblea Nazionale del Popolo. E quando si alza Marco Travaglio, in cinese Tra Va Yo, con il suo quadernino, è identico a un funzionario del Ministero Popolare della Pubblica Sicurezza che legge a un condannato a morte dopo un processo sommario i suoi ultimi diritti prima di farlo appendere alla gigantesca gru rossa, mentre Vauro, Va Uroki, fa il disegnino per far sghignazzare il pubblico cinese obbligato a ridere.
Un altro cinese bello e buono è Fabio Fazio, altrimenti detto Fabio Fazioshi, con quella faccetta da cinese felice di vivere nel migliore dei mondi cinesi possibili, perennemente seduto su quella poltrona cinese, che per essere invitato lì devi essere un cinese di regime e meglio ancora se Einaudi, meglio ancora se Scalfari, in cinese Eu Geny, l'ultimo grande Presidente della Repubblica Popolare. Lo so, di lifting in lifting sta assomigliando a un cinese anche Silvio, ma io credo lo faccia per confondere la Boccassini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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