C he l’hotel in cui ci incontriamo per parlare di una serie tv su due Papi, e sui rapporti tra poteri mondani e ambizioni ultraterrene, sia l’«Eden», è qualcosa che sta tra il caso e una sceneggiatura di Sorrentino. Che l’appuntamento sia all’ultimo piano, sulla terrazza da cui si ravvisa - là in fondo - la maestosità di San Pietro, è fatale. Anche Federico Fellini, ma è storia, scelse la terrazza per le sue interviste. Cinque stelle lusso, sette piani, uno chef stellato, skyline cinematografico, produzione Sky, una nuova serie tv - The New Pope («Se è un sequel di The Young Pope? Sì e no... Inizia dove l’altro finisce, poi mi muovo con libertà. Riprendo personaggi vecchi, ne introduco di nuovi...») - addetti stampa, assistenti, turisti dell’hight society asiatica, produttori, il montatore, giornalisti, e infine, là nell’angolo, che tiene tutti appesi al filo di fumo del suo sigaro Toscano, il regista e sceneggiatore Paolo Sorrentino con una nuova storia di Papi e tentazioni mondane («Ma non è una serie irriverente, né provocatoria, semmai sdrammatizzante o giocosa») riti di ieri e paure di oggi («Ne devo tenere conto: la nuova serie fu concepita durante gli attentati jihadisti in Francia»). E di uomini di fronte alla fede.
Lei è cattolico praticante, tiepido, ateo, agnostico?
«Cattolico così così... Ho fatto le scuole dai Salesiani. E il Liceo mi ha lasciato un senso di grande rispetto e interesse per il sacro e per il cristianesimo. Credo di capire la necessità di Dio che le persone hanno, persino gli atei. Tutto ciò mette in moto la mia curiosità, che poi declino in modo fantasioso».
L’aspetto che la affascina di più del cattolicesimo?
«I rituali e la necessaria magniloquenza della Chiesa, che si presta perfettamente alla mia estetica».
Il Cristianesimo, almeno in Europa, perde sempre più fedeli. Ma il Vaticano resta al centro del mondo, e dell’attenzione morbosa di tutti.
«È una cosa che attiene al mistero del più antico Stato del pianeta che ha dato prova di una capacità di sopravvivenza bimillenaria. Penso che tutti, anche la gente non religiosa, siano incantati dal grandissimo senso dello spettacolo insito nella Chiesa, che Bergoglio ha solo in parte ridimensionato. Senso dello spettacolo, non spettacolarizzazione. Cioè un senso della forma che resiste e che per moltissime persone rappresenta un’àncora di salvezza, un approdo».
Cosa attrae e spaventa della Chiesa?
«La lucida e profonda intelligenza che ha sempre caratterizzato i suoi uomini. La loro capacità di comprendere e incarnare il “controtempo” della Chiesa cattolica. Il cardinal Voiello, interpretato da Silvio Orlando, lo spiega bene: i tempi della Chiesa sono diversi rispetto a quelli del mondo. Si parla quando si deve parlare, dopo aver riflettuto, non rispondendo d’istinto, senza emotività. L’uomo di Chiesa, al contrario di tanti politici, è molto saggio».
Il Suo Vaticano, coi cardinali che sembrano attori, fascinose addette marketing e suore longilinee, è assolutamente falso. Eppure così vero. Come lo ha ricostruito?
«Del periodo in cui studiavo coi preti ho il ricordo di un mondo sobrio, luoghi lindi, mai un soprammobile in più, nessun oggetto inutile. In Vaticano ci sono stato una volta, ho fatto giusto un giro nei Giardini e dentro la Cappella Sistina. E quindi mi sono rifatto alla memoria e alle impressioni dei miei vent’anni, che sono però molto forti. E così dicevo allo scenografo: voglio le vesti sempre stirate perfettamente, gli ambienti devono essere pulitissimi, essenziali...»
Jude Law e John Malkovich si trovano a sedere contemporaneamente sul soglio di Pietro. Sono molto diversi, ma entrambi ambiscono a essere dimenticati. Non facile, oggi.
«Sono entrambi anacronistici, ancora legati all’ideale che il personalismo deve passare in secondo piano rispetto al vero obiettivo: la diffusione del cattolicesimo. Veri servi di Dio, devono sbiadire per lasciar brillare la fede. Appena i due Papi percepiscono che il loro carisma può offuscare l’affermazione della Chiesa, sono pronti a farsi da parte. Che, a pensarci bene, dovrebbe essere l’ideale più alto anche della politica».
Perché si deve essere dimenticati?
«Per salvarsi?».
La via per essere dimenticati è lunga.
«E costellata dagli ostacoli terreni: derive fondamentaliste, che ci sono anche dentro la chiesa cattolica, non solo l’Islam. Le tentazioni mondane. La vanità...».
Malkovich è un Papa molto vanitoso.
«... le vocazioni affaristiche, la schiavitù delle paure e dei vizi, gli intralci sentimentali che mettono a rischio il Grande Piano...».
Il sesso. Lei fa sfilare Jude Law in slip bianco sulla spiaggia sotto gli occhi di donne in bikini...
«È solo un sogno, di una di loro».
E poi c’è il Male. Che parte avranno Sharon Stone e Marilyn Manson?
«Due camei. Una sorpresa»
E poi c’è la politica. All’inizio della nuova serie spunta un altro Papa, Francesco II, pauperista e che accoglie i migranti.
«Ma non c’entra nulla con Papa Bergoglio»
E che vuole vendere tutte le ricchezze della Chiesa per darle ai poveri...
«E dura poco. Ma non c’entra nulla neppure con Papa Luciani, che morì - sono sicuro - per cause naturali».
Però il Suo Papa Francesco sconvolge il Vaticano. E al cardinale Voiello che lo sconsiglia di alienare tutti i beni della Chiesa, il Papa risponde che la stampa di sinistra è dalla sua parte.
«E Voiello ribatte che la stampa di sinistra non ne azzecca una... “Ha perso appeal anche nelle case di riposo”... Sì, me la ricordo la battuta. Non è mia, è di Umberto Contarello, col quale ho scritto la sceneggiatura. È molto divertente, e l’ho lasciata».
Fa il paio col monologo di Jep Gambardella contro l’amica progressista sulla terrazza dellaGrande bellezza. Le piace staffilare la politica?
«In realtà non mi interesso neppure più di politica. Lo facevo a vent’anni, in maniera appassionata. Poi sono diventato indifferente. È per questo che ho potuto girare Il divo, su Andreotti. O Loro, su Berlusconi».
Ma Lei non era di sinistra?
«Ma va’. Forse qualcuno l’ha pensato quando partecipai a una cena alla Casa Bianca, presidente Barack Obama, con Matteo Renzi. C’eravamo io e Benigni, invitati per via dei premi Oscar...».
Non fa parte di quel mondo.
«Però mi piace dissacrarlo. Ma lo faccio con tutti quelli che si prendono troppo sul serio. Di sinistra o di destra».
Le piace di più girare un film o scriverlo?
«Scriverlo. Girare non mi si addice. Sono troppo pigro. Significa alzarsi presto, stare al freddo, in luoghi scomodi. L’uniforme del conduttore non è la mia».
Reazioni vaticane dopo la prima serie?
«Nessuna. Hanno cose più importanti cui pensare».
È cambiato il suo rapporto con la religione dopo aver girato due serie sui Papi?
«Non molto, però...».
Però...
«Però ora potrei scrivere dei bei discorsi, al Papa».
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