Da qualche parte, sospeso tra il brivido dell'orrore e il sorriso della sit-com, c'è il talento di Shirley Jackson, la scrittrice americana che Adelphi sta (ri)lanciando in Italia. Shirley Jackson nasce in una famiglia borghese a San Francisco, nel dicembre 1916. Si trasferisce a Rochester, New York. Mentre studia alla Syracuse University di New York conosce l'aspirante critico letterario Stanley Edgar Hyman, suo futuro marito. La coppia sceglie di vivere ritirata a North Bennington, Vermont. Lui insegna. Lei scrive. Sono circondati da quattro bambini e da centomila libri. Nel 1965, Shirley Jackson muore d'arresto cardiaco, nel sonno. La sua vita, a prima vista, potrebbe essere definita «normale». In realtà è meglio dire «povera di avvenimenti esterni». Qualcosa infatti si agitava nell'animo della signora, un malessere che si manifestava attraverso malattie psicosomatiche e segni inequivocabili di nevrosi.
In Lizzie, appena arrivato in libreria, la Jackson scrive un efficace romanzo sulle personalità multiple. Quanti differenti aspetti convivono in noi? Quanto è autentico il nostro «io»? Quanto invece dipende dalle circostanze? L'abulica Elizabeth, scioccata dalla morte della madre e affidata alla grossolana zia Morgen, si scinde in quattro identità in competizione tra loro per conquistare il controllo dell'unico corpo a disposizione. Qual è la «vera» Lizzie? Chi avrà la meglio? Come spesso accade con la Jackson, a un certo punto, difficile stabilire quale, il lettore inizia a sentirsi a disagio. D'accordo, siamo tra Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde e il romanzone psicologico. Oppure no? Suggerisce la Jackson: ogni vita, per proseguire, deve «divorare altre vite». Forse stiamo assistendo proprio a un sacrificio umano, officiato dalla medicina, all'ombra di una strana statua africana torreggiante nell'appartamento di Lizzie. Di sicuro, il lieto fine, anziché rallegrare, gela il sangue nelle vene, e le ultime parole di Elizabeth (Sono felice, so chi sono) suonano più inquietanti che rassicuranti.
Lizzie uscì nel 1954. Shirley Jackson era già famosa. Nel 1948 aveva pubblicato un breve racconto sul New Yorker. La lotteria (Adelphi) narra un brutale rito propiziatorio celebrato in un paese sperduto nelle campagne. Quelle pagine gelide turbarono centinaia di persone, le quali scrissero una lettera al giornale per saperne di più, per capire meglio. La Jackson rispose che intendeva mettere in luce alcuni aspetti primitivi ma insopprimibili del genere umano. La violenza e la necessità di esorcizzarla o ricondurla a forme «accettabili».
Dopo Lizzie, vi furono altri tre romanzi considerati le fondamenta del Nuovo gotico americano. Sono l'apocalittico The Sundial e i claustrofobici L'incubo di Hill House e Abbiamo sempre vissuto nel castello (entrambi editi da Adelphi). L'incubo di Hill House è forse l'apice, a partire dall'incipit giustamente celebrato dalla critica: «Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant'anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola».
È l'inizio di una formidabile variazione sul tema «casa infestata da oscure presenze» che influenzerà profondamente, a esempio, lo Stephen King di Shining. Qui l'arte di Shirley Jackson si rivela in tutta la sua potenza, ripudiando gli effetti speciali in nome della sottigliezza. Risultato: la scrittrice non esce mai dal solco della tradizione, e dunque ogni evento dovrebbe essere prevedibile, almeno per l'amante del genere. Eppure provate a leggere questo libro una notte in cui siete soli...
La psiche, la realtà, i fatti. Tutto è ambiguo, precario e infine spaventoso ne L'incubo di Hill House. Per questo, aprendo Life Among the Savages e Raising Demons, le autobiografie romanzate della famiglia Hyman, si resta stupefatti. Possibile che l'autore di questi racconti, uniti da un filo conduttore, sia Shirley Jackson? Sì, è proprio lei. Qui la casa però è «infestata» da ragazzini, e le minacce sono i piccoli incidenti di tutti i giorni. C'è da ridere, molto.
Al punto che qualcuno ha paragonato questi libri a una sit-com ben riuscita, in cui talvolta la Jackson strizza pure l'occhio, in modo ironico, alle sue opere gotiche. Regina della paura e del divertimento. Da un estremo all'altro. Quante scrittrici c'erano dentro Shirley Jackson?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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