Jacques Le Goff, l'uomo che illuminò i secoli bui

Jacques Le Goff, l'uomo che illuminò i secoli bui

Da molto tempo Jacques Le Goff, il grande studioso francese dell'età medievale, scomparso ieri a novant'anni, non abbandonava la sua abitazione parigina ricolma di libri e di carte affastellate, dove, malgrado l'età e le condizioni fisiche, continuava a lavorare. Riservato e schivo, non rifiutava però gli incontri con colleghi e allievi, né le interviste che gli venivano chieste. La sua vivacità intellettuale non aveva manifestato segni di cedimento. Quest'anno, per esempio, in occasione delle celebrazioni per il milleduecentesimo anniversario della morte di Carlo Magno non aveva esitato a far sentire la sua voce per ridimensionare il «mito» che presenta il re dei Franchi, incoronato imperatore del Sacro Romano Impero da papa Leone III nella notte di Natale dell'anno 800, come uno dei «padri» dell'Europa. Senza nulla togliere alla grandezza del personaggio e al merito storico di aver contribuito a fondere la tradizione romana con quella germanica, Le Goff ricordò che, a quell'epoca, l'idea di Europa non esisteva ancora e fece notare che il progetto di Carlo Magno, nel farsi incoronare a Roma, era rianimare il glorioso impero romano vivificato dal cristianesimo, non guardare all'avvenire.
Ai «miti» e alle «leggende auree» o alle «leggende oscure» sorte, ciclicamente, attorno a grandi eventi o epoche e personalità della storia, in particolare medievale, e divenute spesso vere e proprie «vulgate» storiografiche, Le Goff aveva sempre rivolto la propria attenzione. Lo aveva fatto con il proposito non di demolirle o criticarle, ma di spiegarle e, semmai, correggerle sulla base dei risultati di una ricerca continua che doveva far tesoro dei contributi di quelle che egli chiamava le «scienze sorelle» della storia le quali, nel loro insieme, avrebbero dovuto contribuire a definire i caratteri di una civiltà.
Nato a Tolone da una famiglia borghese nel 1924, aveva visto svilupparsi i suoi interessi per la storia fin da quando, giovinetto, era rimasto incantato dalla lettura di Ivanhoe, il celebre romanzo di Walter Scott che, in seguito, sarebbe tornato a sfogliare più volte ritrovandovi una rappresentazione esemplare della società inglese della fine del XIII secolo. Laureatosi all'École normale supérieure di Parigi aveva iniziato la carriera come insegnante di liceo. E questa esperienza didattica aveva lasciato in lui il segno. Tant'è vero che, negli anni della piena maturità e quando la sua fama era ormai al culmine, affrontò più volte il problema dell'insegnamento della storia a livello liceale, raccomandando che ai giovani si trasmettesse la memoria del passato in modo da far risaltare, con un approccio fondato sulla «lunga durata», i fattori di continuità: il concetto di democrazia, per esempio, non poteva, a suo parere, essere pienamente compreso dimenticando che esso era nato in Grecia.
L'idea della «lunga durata» Le Goff l'aveva mutuata da uno dei suoi maestri, Fernand Braudel, lo studioso del Mediterraneo e della sua civiltà, al quale sarebbe succeduto alla guida della École des Hautes Études en Sciences Sociales. Questi, assieme a Lucien Febvre e Marc Bloch, era stato tra i fondatori della scuola storiografica che faceva capo alla rivista Annales d'histoire économique et sociale, poi divenuta Annales: économies, sociétés, civilisation, fautrice di un approccio storiografico globale e della quale proprio Le Goff avrebbe assunto la condirezione nel 1968. Una scuola storiografica innovativa, quella legata alla rivista Annales, ma anche una scuola che, con l'andar del tempo, soprattutto nei suoi più tardi epigoni avrebbe finito per isterilirsi, per cedere al gusto della microstoria e alle tentazione dell'ideologismo.
Non a caso proprio Le Goff, il quale l'aveva vitalizzata sul versante della storia delle mentalità, avrebbe fatto notare che, a partire dagli anni Ottanta, la scuola avesse cominciato a dare «segni di soffocamento, meglio di esaurimento» e fosse divenuta «oggetto di una convergenza di critiche» che le rimproveravano di «schiacciare gli uomini sotto le strutture, di tendere a una storia immobile e di sacrificare la specificità della storia alle astrazioni delle scienze sociali al di fuori del tempo». Tutto il contrario di quello che pensava l'altro suo maestro Marc Bloch che in una pagina celebre di Apologia della storia aveva scritto: «Sono gli uomini che lo storico vuole afferrare. Chi non li raggiunge non sarà altro che un manovale dell'erudizione. Il bravo storico, lui, assomiglia all'orco delle favole. Là dove fiuta carne umana, là è la sua selvaggina».
Il campo di interesse di Le Goff fu il Medioevo, in tutte le sue sfaccettature: un Medioevo il cui cuore è situato nei tre secoli e mezzo che vanno dall'anno Mille alla peste nera, ma che si inserisce in un «lungo Medioevo» proiettato in avanti per molti secoli e caratterizzato dalla permanenza di strutture feudali. Questo Medioevo Le Goff lo ha reso familiare a milioni di lettori attraverso opere suggestive, profonde e di grande fascino letterario, che ricostruiscono la vita, la simbologia, le credenze, la mentalità di quel tempo e degli uomini che vissero allora.

Testi come Mercanti e banchieri del Medioevo (1956), Gli intellettuali del Medioevo (1957), La civiltà dell'Occidente medievale (1969), La nascita del Purgatorio (1981), L'immaginario medievale (1985), Lo sterco del diavolo: il denaro nel Medioevo (2010) sono fondamentali nella storiografia medievistica. Esse, insieme ai lavori biografici come quelli dedicati a San Francesco o a San Luigi, e alle tante opere di metodologia storica consacrano Jacques Le Goff come uno dei più grandi storici del Novecento.

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