Sperimentale e ardito nello scrivere, John Berger non lo è per nulla nel disegnare. Le sue figure sono limpide fino al limite dell'essenzialità, in esse il dinamismo è dato dalle sfumature e dai chiaroscuri: nessun sottinteso, nessuna fiction, nessuna «citazione» tranne quelle, dichiarate, delle copie. A esempio il bel crocifisso carpito, con grave scorno di un occhiuto guardiano, all'Antonello da Messina esposto alla National Gallery di Londra, il venerdì Santo del 2008. Episodio gustoso, quest'ultimo, che troviamo in Il taccuino di Bento (Neri Pozza, pagg. 176, euro 12,90, traduzione di Maria Nadotti, da oggi nelle librerie). Bento è, ovviamente, Baruch Spinosa, il filosofo che, quando non molava le lenti per guadagnarsi da vivere nella Amsterdam del XVII secolo, vi molava i pensieri. Pensieri cristallini e definitivi, sistemati al millimetro nella sua Etica dimostrata (appunto) con metodo geometrico. Ed ecco quindi, a sua volta dimostrata, la venerazione di Berger per il maestro olandese, dal quale ricava, quando è alle prese con matite e pennelli, la cristallina fedeltà alle forme come l'altro ricavava dalla propria mente acutissima i pensieri inanellati con la piuma d'oca. E che obbediscono, come suggeriva il suo contemporaneo Pascal, allo spirito geometrico e a quello di finezza.
Qui Berger immagina di ritrovare un taccuino di Spinoza contenente i suoi disegni, e utilizza questo tesoro inaspettato vinto alla lotteria del Caso per dispiegare un'operina a due voci, quella della prosa tutt'altro che lineare, anzi sincopata o vagante, e quella della poesia che risiede nei disegni d'occasione: ritratti, particolari di una natura messa in posa, calchi reinterpretati. «Sentiamo e sperimentiamo - scrive Spinoza nell'Etica - che siamo eterni. Infatti la mente non sente quelle cose, che concepisce con l'intendere, meno di quelle che ha nella memoria. Gli occhi della mente, con cui essa osserva e vede le cose, sono infatti le dimostrazioni stesse. Quindi, benché non ricordiamo di essere esistiti prima del corpo, pure sentiamo che la nostra mente, in quanto implica l'essenza del corpo sotto specie di eternità, è eterna, e che tale esistenza della mente non può essere definita dal tempo, ossia spiegata con la durata».
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