L'anti Gattopardo che si immerse nell'«altra» Sicilia

Generoso e spartano, nobile e popolano. Il principe Francesco Alliata ha raccontato novant'anni di passioni e di sfide. Nel segno della cultura

L'anti Gattopardo che si immerse nell'«altra» Sicilia

L'ultimo Gattopardo ancora esistente era in realtà l'unico anti-Gattopardo ancora in vita. Sembra una contraddizione, o un gioco di parole, ma in Sicilia la linea dritta è un arabesco e la semplicità una cosa complicata.

Partiamo dal nome. Gli Alliata, di cui Francesco, è di lui che parliamo, ha rappresentato fino all'1 luglio scorso, giorno della sua morte, la superstite incarnazione maschile, erano principi di Villafranca, di Ucrìa, di Gravina, di Trecastagni, di Montereale, di Bucchéri, di Castrorao, di Gangi, duchi di Salaparuta e di Saponara, marchesi di Santa Lucia, titolari di nove Baronìe e trenta Signorìe, Grandi di Spagna di prima classe, Reichsfuerst, ovvero principi del Sacro romano Impero con qualifica di Altezza Serenissima. Più Gattopardi di così...

Veniamo al curriculum vitae . Francesco Alliata è stato il «principe delle immagini» nella sua veste di fondatore della Panaria Film e di «inventore» della fotografia subacquea; il «principe dei gelati» e dei surgelati nella sua veste di imprenditore della Sikelia; il «principe della cultura» nella sua veste di ideatore di un museo multiculturale nella casa avita di Palazzo Alliata di Villafranca a Palermo. Più anti-Gattopardo di così...

A novantacinque anni da poco compiuti, aveva finalmente scritto la sua autobiografia, Il Mediterraneo era il mio regno (Neri Pozza, pagg. 342, euro 17): non sorprende che avesse per sottotitolo «Memorie di un aristocratico siciliano», e però il suo era il racconto di una vita lontana anni luce dall'immobilismo e dai «voli di rondine» descritti da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo capolavoro, vale a dire la neghittosità e lo sperpero di interi patrimoni in futili attività, la passione per tavoli verdi e casinò, e, insomma, Bacco, tabacco e Venere... «Inventando cose nuove - ha scritto - ho cercato di costruire piuttosto che assistere passivamente allo sgretolarsi di un'epoca, e, quando è stato necessario, ho lottato con tutte le mie forze». Anti-Gattopardo, ha ammesso tuttavia di essere stato «sconfitto come i “Gattopardi” in cui non mi sono mai riconosciuto. Oggi che ho superato i novant'anni, mi rendo finalmente conto che siamo stati sballottati tra cose più grandi di noi, tutti pedine di un gioco perverso, tutti - gattopardi e anti-gattopardi - da abbattere per essere sostituiti da quelli che Tomasi ha acutamente identificato in “iene, sciacalli e pecore”».

Nato nel 1919, Francesco Alliata ha attraversato il Novecento facendo tesoro dell'educazione materna. Rimasta presto vedova, la principessa Vittoria di Villafranca, detta «la principessona» non per la stazza, ma per le sue doti e capacità, insegnò ai figli che «il peccato maggiore era non far nulla... Noi imparammo il dialetto siciliano perché nostra madre ci diceva: “Se non dialogate con i vostri contadini nella loro lingua, essi vi considereranno estranei e non vi capiranno”». Fu lei a insegnargli che la nobiltà significava qualche privilegio e molti obblighi, generosità nei confronti degli altri, spartanità nella vita privata e famigliare.

Tutto questo aiuta anche a capire la sicilianità particolare di Francesco Alliata. Come nota Stefano Malatesta nella sua introduzione al volume, non siamo di fronte a uno che, come molti siciliani, si è creato «per necessità di vita un mondo parallelo - fatto di mezze verità, di finti miti, di abitudini non veramente sentite, ma simulate con grande abilità - chiamato Sicilia; in sostanza un falso che, però, nei momenti opportuni veniva fatto passare per la vera Sicilia e ne assumeva l'aspetto in modo da scaricare ogni responsabilità sul modello che non esisteva e che era stato inventato per deviare le indagini».

Come è detto esplicitamente nel titolo, il Mediterraneo resta il luogo deputato dei sogni e delle esperienze di questo ragazzo morto ultranovantenne. Dieci anni prima di Jacques Cousteau, Alliata girò nelle acque delle Eolie i primi documentari subacquei della storia del cinema: Tonnara , che è del 1947, resta ancora oggi l'unico documento filmato dei canti, delle invocazioni e dei riti della pesca dei tonni, compreso il loro saettare nella «camera della morte» da lui ripreso immergendosi in quella gigantesca gabbia di rete che funge per loro da sudario. «Al sopraggiungere del parossismo, poco prima che “assommassero”, venivo tirato su con una corda. Mi era stato così possibile riprendere, come sempre in apnea, quel crescendo di ansia e frenesia di quei bestioni che passavano a pochi centimetri dalle mie tempie».

Che cosa fossero allora le Eolie in particolare e il Mediterraneo in generale, il libro lo racconta benissimo: un immergersi nel mattino del mondo e un senso panico delle cose, la cultura e la natura che nuotavano insieme, la magia della semplicità e della lentezza, una filosofia di vita per certi aspetti, il difficile, paziente equilibrio fra desideri e realizzazioni. Nel mezzo secolo successivo, Francesco Alliata non ha fatto altro che restarvi fedele, inventando, progettando, cadendo e rialzandosi. «L'inerzia trasferisce l'uomo dalla nascita alla morte, senza lasciare alcuna traccia. Come per i vermi, una volta spariti, se n'è perso il ricordo».

Ha licenziato per esosità Luchino Visconti, si è visto scippare il soggetto di un film da Roberto Rossellini, ha prodotto La carrozza d'oro avendo per regista Jean Renoir, ha battagliato per un ventennio per rivoluzionare l'agricoltura siciliana, si è dichiarato «prigioniero politico della burocrazia» per difendere palazzo Villafranca e villa Valguarnera dalla speculazione, dalla cattiva politica, dalla mafia... La voluttà del fare, il gusto, sino alla fine, di vivere.

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