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La nera profezia sull'Europa: chi ha previsto la sua lenta "fine"

Ne "La sfida americana" Jean-Jacques Servan-Schreiber teorizzò la marginalizzazione dell'Europa rispetto agli Usa per la debolezza in campo tecnologico

La profezia sull'Europa: ecco chi ha previsto la sua "fine"

La seconda metà del Novecento è stata contraddistinta dalla definitiva retrocessione dell'Europa da centro a periferia del pianeta. Il "suicidio" compiuto dal Vecchio Continente con le due guerre mondiali, già intuito come tale da Papa Benedetto XV in una lettera del 1916, sarebbe stato completato dopo il 1945 con la graduale trasformazione del Vecchio Continente in satellite geopolitico. L'Est e parte del centro Europa finirono nell'orbita dell'Unione Sovietica, mentre in larga parte l'Europa occidentale, dove si trovavano le potenze nei secoli passati artefici della proiezione del Vecchio Continente nel mondo, si trasformò in satellite degli Stati Uniti.

Dotati di maggiore capacità di attrazione per capitali fisici e umani, di un'organizzazione industriale e politica interna efficace, di un sistema intatto dalle devastazioni belliche, di una popolazione giovane, in continua crescita e arricchita sotto il profilo delle competenze professionali e tecniche, di un soft power impareggiato gli Stati Uniti vissero nel periodo iniziale della Guerra Fredda il vero e proprio apogeo della loro storia. Toccando una quota di padronanza sul totale del Pil mondiale, un'influenza militare e geostrategica impareggiata nei decenni successivi e nel concreto non più replicata nemmeno dopo il collasso dell'Unione Sovietica.

La Guerra Fredda ebbe l'Unione Sovietica come rivale diretto degli Usa, ma di fatto plasmò la vittoria strategica della repubblica a stelle e strisce sul Vecchio Continente. La sua trasformazione in oggetto delle dinamiche internazionali, dei desiderata di Washington, in una somma di clientes della superpotenza fu completata con il trasferimento oltre Atlantico dei principali determinanti della potenza. Già guidati da Washington con la conquista della supremazia sul decisivo campo degli armamenti atomici e espansi, nei decenni della Guerra Fredda, con un graduale divaricamento del divario tra le due sponde dell'Atlantico.

La "sfida americana"

Dopo la seconda guerra mondiale, l’assorbimento dell’Europa nel campo geopolitico guidato da Washington le ha fatto gradualmente perdere la capacità di generare, con gli investimenti in industria, capitale umano e ricerca, le tecnologie più all’avanguardia il cui controllo, come ha raccontato Carlo Cipollain Vele e cannoni, sono state la causa principale della sua proiezione coloniale su scala globale tra XVI e XIX secolo.

La scelta delle nascenti istituzioni europee di ridurre lo spazio per la concentrazione industriale e la formazione di veri “campioni” nazionali od europei attraverso le regole sulla concorrenza e il divario strategico con gli Usa portarono all’emersione di riflessioni sul problema del ritardo europeo, che da terra di innovazione si trasformò in terra di “applicazione differita” di tecnologie elaborate altrove in ambito militare, industriale, civile. Già nel 1968 il giornalista francese Jean-Jacques Servan-Schreiber pose nei giusti termini la questione nel suo libro La sfida americana. L’autore sottolineava come nel campo tecnologico si sarebbe giocata la trasformazione dell’Europa e degli Stati Uniti in due “civiltà distinte”: “Non diventeremo poveri; anzi, secondo tutte le previsioni, continueremo ad arricchirci. Ma saremo sorpassati e dominati per la prima volta da una civiltà più progredita”. Progredita, notava l'autore, non tanto sul piano dello sviluppo sociale quanto nella capacità di mobilitare, consci della sua portata storica, le risorse necessarie alla potenza tecnologica.

Servan-Schreiber parte dall'analisi delle dinamiche del capitalismo statunitense e dal riconoscimento dell'eccezionale capacità organizzativa degli americani per capire come l'Europa è potuta diventare terra di conquista. La sua riflessione è critica sia dei funzionalisti e federalisti europei sia della strategia del generale Charles de Gaulle, allora intento a ragionare più in termini di autonomia strategica francese che a concepire una vera strategia europea. Secondo Servan-Schreiber la pervasività dei rapporti tra industria, finanza, difesa e tecnologia negli Usa, la presenza di porte girevoli tra società di consulenza, industrie, finanza, politica, università e apparati militari e il matrimonio tra la moneta e la spada saldato nella convergenza tra complessi produttivi vicini alla Difesa e sistema bancario che rappresentano l'architrave del potere negli Usa tolgono soggettività ai paesi europei e possono determinare un divario tecnologico non più colmabile. Ed è indicativo notare come il polemista francese scriva ben prima dell'ondata decisiva di innovazione tecnologica seminata dall'attività di investimento e venture capitalism dello Stato a stelle e strisce e dei suoi apparati (Darpa in testa) a partire dagli Anni Ottanta. Con cui Washington, come Mariana Mazzucato ha fatto notare ne “Lo stato innovatore”, ha costruito gli standard dominanti di Internet, delle telecomunicazioni di ultima generazioni, della gestione dei big data e dei trend globali; nella prefazione all'edizione italiana dell'opera di Servan-Schreiber il leader del Partito Repubblicano e più volte ministro Ugo La Malfa sostenne la tesi, estremamente azzeccata, secondo cui il 1980 sarebbe stato un anno-spartiacque per definire la completa divaricazione tra i due sistemi-guida dell'Occidente.

Oggigiorno la questione studiata ne La sfida americana si è fatta ancora più complessa dato che agli Usa si è aggiunta la Cina come grande attore strategico intento a rincorrere l'innovazione di frontiera e la definizione degli standard del dominio tecnologico globale. Concretizzando la profezia di Servan-Schreiber Washington è stata a lungo la Stella polare dell'innovazione su scala globale, garantendo gli standard per le "vele" e i "cannoni" di fine XX e inizio XXI secolo. Da Internet al Gps, dai colossi della ricerca online ai campioni della logistica, da Microsoft a Netflix, gli Stati Uniti sono stati la patria di buona parte delle aziende che, foraggiate intensamente da capitali pubblici e sostegni politici, hanno contribuito a plasmare le rotte dell’innovazione tecnologica e dei nuovi mercati del digitale. Oggi in campo tecnologico assistiamo però a un vero e competitivo bipolarismo. Pechino, sulla scia dei colossali programmi di investimento dell’ultimo trentennio, sta esplorando le frontiere della tecnologia più avveniristica posizionandosi come egemone nel 5G e accelerando sugli sfruttamenti economici, sociali e politici dell’Ia e delle tecnologie ad esse legate.

La "sfida cinese" e l'autonomia strategica europea

Persa la sfida americana e non compresa quella cinese, l'Europa si posiziona a metà del guado. Oggigiorno al Vecchio Continente non fanno certamente difetto le risorse (dal capitale umano ai centri di ricerca) per poter competere nell’agone tecnologico globale da attore di primo piano. Oggi come mezzo secolo fa, non è ancora emerso fino in fondo un progetto sistemico in campo tecnologico e di valorizzazione dei giganti digitali del Vecchio Continente. Forti di poche eccellenze globali (una su tutte la tedesca Sap) e di molte aziende con potenziale di sviluppo (da Atos ad Ericsson) l'Europa deve fare sistema ma darsi, al tempo stesso, obiettivi realistici. Le ampie discussioni sull'autonomia strategica e la sovranità europea hanno prodotto piani incoraggianti in tal senso, dal cloud di Gaia-X ai progetti del commissario Thierry Breton sull'industria aerospaziale, i semiconduttori, i vaccini contro il Covid, ma a livello dominante al di fuori della solita Francia e di alcuni pensatoi a Berlino e Roma manca, nei decisori politici del Vecchio Continente, una capacità sistemica di immaginazione delle rotte future del Vecchio Continente. In grado di far capire ai Paesi europei che non di solo economicismo, di regole fiscali e di parametri monetari si può vivere.

Il fatto stesso che l'autonomia strategica possa di fatto essere pensata come desiderabile seconda gamba del campo occidentale, dunque nel quadro del contesto geostrategico disegnato da Washington, mostra la profondità del risultato ottenuto dagli Stati Uniti imponendosi come forza dominante nel campo atlantico. L'alleanza occidentale è una comunità di destino che segue le linee guida strategiche americane anche e soprattutto per la primazia militare e tecnologica della superpotenza. Garante della sicurezza collettiva e dotata di una rete di clientes corrispondenti in larga parte al Vecchio Continente. Che ha consapevolmente barattato l'accettazione di un ruolo di secondo piano con una fase di ritorno al benessere e all'opulenza dopo le due guerre di inizio secolo. Senza però mai rendersi conto fino in fondo di cosa volesse dire quella "sfida" dell'alleato americano, patrono, protettore e padrone dei suoi destini al tempo stesso.

E che oggi probabilmente potrebbe addirittura ben vedere, in prospettiva, una maturazione geopolitica dell'Europa nei campi in cui è stata tradizionalmente in ritardo per affrontare una sfida cinese vista comune a tutto l'Occidente.

La sfida americana

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