La lezione di Montaigne

Non sarà che, finiti i conflitti, i malumori e le polemiche che attraversano la vita attiva, nella solitudine si entra in conflitto con se stessi?

Da Wikipedia
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Che cosa ci insegna Montaigne? Prima di tutto sarebbe da chiedersi: a chi? E per chi Montaigne è una lettura utile, quando non necessaria? Involontariamente molti lo seguono senza conoscerlo. Il capitolo VIII dei suoi Essais riguarda «L'ozio». A me sicuramente parla, come a tutti quelli che scrivono e leggono per essere migliori (il concetto, invero, è un po' moralistico), perché scrive di me quando dice: «quisquis ubique habitat, Maxime, nusquam habitat».

In sostanza, come mi accade: chi vive ovunque non vive da nessuna parte. Così, intanto, Montaigne ci dice di aver una casa e di non avere particolari ambizioni (perché il potere evapora rapidamente): «Rigirandomi di recente in casa, deciso a non interessarmi d'altro che di passare in tranquillità quel po' che mi resta della vita, mi sembrava di non potere fare un dono più grande al mio spirito che lasciarlo, in assoluto ozio, conversare con se stesso... ma mi accorgo, variam semper dant otiam mentem (il non far nulla fa mutare gli animi) che, inversamente, facendo il cavallo imbizzarrito, si procura da solo cento volte più preoccupazioni di quanto non se ne procurerebbe a causa di altri».

Sarà così? Sarà che, finiti i conflitti, i malumori e le polemiche che attraversano la vita attiva, nella solitudine si entra in conflitto con se stessi? Io, appunto, ho sempre cercato di evitarlo, e mi sono circondato di tanti che mi irritano, a cui posso

attribuire le colpe che da solo dovrei attribuire a me stesso. Così, dialogo con Montaigne, cercando di smentirlo per non trovarmi nelle sue condizioni. Ci sarà un giorno in cui mi fermerò? A questo punto, non me lo auguro.

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