Cultura e Spettacoli

Il libro più bello dell'anno? È «Carrie», uscito nel 1974...

Il libro più bello dell'anno? È «Carrie», uscito nel 1974...

Questo articolo, secondo le regole del giornalismo culturale di oggi, pronto a correre dietro alle novità, soprattutto se pessime, e alle tendenze, in particolare quelle inesistenti, non dovrebbe essere scritto. Quindi lo scrivo.
Il libro più interessante del 2013 è Carrie (Bompiani, pagg. 212, euro 14) di Stephen King. Pazienza se è uscito nel 1974 e da allora viene ristampato in continuazione, l'ultima volta pochi giorni fa. Quest'anno sono stati pubblicati romanzi splendidi, di cui innamorarsi, a esempio la saga de I Melrose (Neri Pozza) di Edward St Aubyn, ma nessuno racconta il presente come il bestseller di King. Ricordo di averlo pensato già negli anni Ottanta, da adolescente, quando Carrie mi capitò tra le mani e mi lasciò di stucco. Lo pensai anche negli anni Novanta, quando lo rilessi e mi lasciò di gesso. Forse significa che Carrie, considerato a lungo letteratura di genere, dunque di serie B, ha le potenzialità del classico capace di parlare ai lettori di ogni epoca. Ma questo lo decidano i critici, ammesso ne rimanga qualcuno disposto a leggere con curiosità qualcosa di diverso dai libri dei propri amici (o nemici).
In Carrie Stephen King è riuscito ad afferrare l'essenza dell'adolescenza, il periodo più sfuggente della vita. Ci sono i sentimenti che ciascuno di noi, almeno una volta, ha vissuto e forse ancora rivive nei ricordi. C'è il terrore di essere diverso, escluso, emarginato. L'insicurezza del carattere. La goffaggine del corpo. L'ansia di fare sesso. La voglia di entrare nel branco, al fine di sentirsi protetto, e insieme il disprezzo per il conformismo del branco stesso. Il desiderio di libertà e quello opposto di non recidere il cordone ombelicale che ci lega alla famiglia. C'è letteralmente tutto in questo straordinario romanzo e tutto è trasfigurato nella storia di Carrie, la ragazzina dai poteri paranormali, derisa dai compagni di scuola, oppressa dalla folle madre, una donna che ha ridotto la religione a violenza. Carrie, come Cenerentola, fiaba che King deve avere ben presente, riesce a trasformarsi nella regina del ballo scolastico, grazie a un inatteso principe azzurro. Ma lo scherzo crudele imbratta il sogno, e Carrie si vendica, scatenando il suo misterioso «dono» fino alla distruzione e alla autodistruzione totale.
Mentre si legge è inevitabile pensare alla cronaca di questi mesi. Si pensa alle baby prostitute dei Parioli, alle liceali sedotte dal professore «modello», alle vittime del bullismo, ai ragazzi gay che si suicidano, allo stalking via Facebook, ai filmati crudeli girati col telefonino, alla video-spazzatura su Youtube. Carrie parla proprio di questo: di carnefici e agnelli sacrificali. Lo fa meglio di qualsiasi sociologo. Nelle pagine di King ci sono date e indicazioni cronologiche ma non hanno alcuna rilevanza. Lo scrittore americano non sta parlando di una adolescente ma dell'Adolescenza. Ecco perché si può leggere e rileggere Carrie: avrà sempre qualcosa da insegnare senza salire in cattedra, attraverso la semplice magia dell'arte.
Nel gennaio 2014 uscirà nei cinema il remake di Carrie, il film di Brian De Palma tratto dal romanzo in questione nel 1976. (Di passaggio, vale sempre la pena di ricordare che l'autore della magnifica colonna sonora è Pino Donaggio). Non ho ancora visto Lo sguardo di Satana. Carrie perché ho un rispetto religioso del copyright. Però ho letto la sinossi, le recensioni straniere e soprattutto passato in rassegna le immagini dal set. La regista Kimberly Peirce ha fatto una piccola forzatura al testo, del tutto sensata. I ragazzini infatti sono pieni di iPod, smartphone, tablet. È con i mezzi offerti dalla tecnologia che feriscono Carrie. Un «aggiornamento» non indispensabile ma pertinente.
Se in Carrie c'è il lato negativo dell'adolescenza, in un altro capolavoro di King, The Body (in Italia noto anche come Stand by me e incluso nella raccolta Stagioni diverse, Sperling&Kupfer), troverete l'altra faccia della medaglia. Quella positiva, anche se non rassicurante, altrimenti non sarebbe un libro di King. In The Body ci sono il senso dell'avventura, la solidarietà, l'amicizia, e la splendida ingenuità grazie alla quale ci illudiamo che l'incantesimo durerà per sempre. Ingenuità? Forse era estrema lucidità. La fine dell'incantesimo lascia delusi.

Ma poi si scopre la verità, dice il narratore di The Body: non ci sono amici migliori di quelli che avevamo a tredici anni.

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