Felpa grunge e aria scanzonata, Albert Espinosa è lo scrittore sceneggiatore autore televisivo del momento. Braccialetti rossi, la serie tv che ha ambientato in un ospedale dove un gruppo di adolescenti combatte con il cancro, è stata un successo sorprendente, tanto che Raiuno ha confermato a furor di pubblico la seconda stagione (in Spagna Pulseras Rojas è alla terza). A seguire, è arrivato l'exploit del libro che l'ha ispirata, Il mondo giallo. Se credi nei sogni i sogni si creeranno (Salani, pagg. 172, euro 12,90): sei edizioni in poche settimane l'hanno issato al vertice delle classifiche di vendita. In entrambi, l'autore della storia autobiografica narra la lotta contro il tumore - anzi, quattro tumori (due ad una gamba, ai polmoni e al fegato) - durata dai 14 ai 24 anni. Reduce dal set ad Atlanta di The Red Band Society, la serie che Steven Spielberg sta producendo per la Fox, Espinosa è un quarantunenne piuttosto originale. Domani sarà ospite di Che tempo che fa.
Come vive il successo chi ha convissuto con il cancro?
«Ho scritto questa storia per raccontare la vicenda degli eroi che si trovano negli ospedali. Successo è vedere che, dopo la trasmissione della serie, le visite negli ospedali siano aumentate del 40% e i bambini ricoverati abbiano identificato nei personaggi di Braccialetti rossi i loro eroi».
Com'è andato l'incontro con Steven Spielberg?
«Spielberg è molto affascinato da Braccialetti rossi. L'ha fatto ridere e piangere... È stata un'esperienza super-emozionante assistere per venti giorni alle riprese. Penso ne uscirà una serie molto simile all'originale».
Com'è avvenuto il primo contatto con lui?
«Marta Kauffman, sceneggiatrice di Friends, ha visto la serie a un festival cinematografico di Seul e l'ha segnalata a Spielberg che ne ha acquistato i diritti. Sembra tutto molto semplice, ma a volte la vita lo è».
Nella serie si parla di una piccola banda, un gruppo di solidarietà in cui c'è un leader, un vice-leader, l'imprescindibile, ruoli che nel libro non compaiono...
«Sono stato in dieci ospedali e in tutti ho creato un gruppo. Ho avuto un padre e una madre ospedalieri. Nel libro ho valorizzato ciò che ho appreso dall'esperienza del cancro. Nella serie mi sono concentrato sui ricordi di quel periodo, che ho rappresentato anche nell'opera teatrale Los Pelones (I Pelati)».
Il mondo della tv e del cinema per lei sono mezzi per divulgare la sua filosofia o un ambito artistico?
«Entrambe le cose. Mi piace avere l'occasione di raccontare la mia filosofia gialla. Tutte le mie storie hanno a che fare con tematiche complesse. Ho scritto 15 opere teatrali e 6 film, e credo che la prima cosa sia divertire il pubblico, ma sempre con un contenuto».
Oltre a Spielberg e Shyamalan che cita, ha altri punti di riferimento nel cinema?
«Uno dei miei massimi riferimenti è Vittorio De Sica. Adoro anche il Visconti di Rocco e i suoi fratelli. Il mio personaggio Rocco prende spunto da lì perché anche i miei personaggi sono fratelli ospedalieri. Amo anche il cinema di Rob Reiner, quello di Codice d'onore».
Quando si vive una malattia che mette in pericolo di vita si chiede di più a se stessi e gli altri. Per questo è nato il cosiddetto «mondo giallo»?
«Vivere una malattia ti fa capire che morire non è triste, ma triste è vivere senza intensità. La filosofia del mondo giallo nasce dal desiderio di questa intensità. Ma anche dal non farsi troppe domande. Quando pensi di avere tutte le risposte l'universo ti cambia le domande».
Per San Paolo il tempo che «si è fatto breve» suggerisce maggiore essenzialità. Superata quella fase, com'è possibile mantenerla?
«Nel mio caso, capendo che il ragazzino che ero a 14 anni non è mai scomparso ed è tuttora dentro di me. C'è una persona che è cresciuta e un'altra che è rimasta giovane. Penso che il segreto stia nel non uccidere il bambino che è dentro di noi».
La nostra gioventù è abituata all'accumulo e al «mi piace» di Facebook. Se dovesse indicare una parola per invertire questa situazione?
«Quando i ragazzi ricevono i messaggi giusti si mostrano responsabili e capaci di autogestirsi. Molti pensavano che Braccialetti rossi non avrebbe avuto successo. Invece sono stati proprio i giovani a tributarglielo. È fuorviante guardare i ragazzi attraverso il prisma dei social network. Credo che la gioventù di oggi sia più intelligente di noi e che questi ragazzi finiranno per sorprenderci. Perciò la mia parola-chiave è sorpresa».
Lei definisce «giallo» colui che molti definirebbero «amico»: una persona che ti fa sentire accettato e ti aiuta a scoprire te stesso. Non sottovaluta l'amicizia?
«Per me gli amici continuano a essere l'elemento più importante. Non voglio dare l'idea di sottovalutare l'amicizia. Viaggiando e muovendosi molto ci sono persone in cui ci imbattiamo una o due volte. In ospedale ho conosciuto e frequentato intensamente persone per un mese e poi mai più. Ad Atlanta ho conosciuto tre persone che non rivedrò, ma che hanno segnato la mia vita. Costoro sono dei gialli. L'amicizia, la famiglia e l'amore sono definizioni che evolvono. Per quel tipo di persone non esisteva un sostantivo».
In spagnolo amor, amistad e amarillo hanno la stessa radice «am». In italiano oltre al colore, giallo è un genere letterario, una situazione dai contorni incerti...
«Nel mondo anglofono yellow è sinonimo di codardo, però ci sono persone che usano questa parola con il mio significato. Anche in Spagna non era facile che il termine attecchisse. Ogni giorno ricevo dall'Italia da 800 a mille mail di persone che hanno fatto propria questa definizione».
I suoi progetti per il futuro?
«Sto preparando una serie che s'intitola Lucas e parlerà di schizofrenia e altre malattie mentali, ma sempre con humour.
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