Un matto al giorno

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore Baldini+Castoldi, un estratto di Almatto. Un matto al giorno, che verrà presentato al Teatro Franco Parenti, Sala Café Rouge, il 17 dicembre prossimo alle 18.30

Un matto al giorno

I matti ci incuriosiscono, ci costringono a riflettere, ci cambiano lo sguardo, ci mettono davanti ai nostri fantasmi, non ci lasciano mai indifferenti. Come psicoterapeuta e presidente della Fondazione Lighea, ne ho incontrati centinaia, colpiti da diverso grado di sofferenza psichica. La loro frequentazione mi ha aiutato a prendere coscienza di parti di me che mi erano ignote e mi ha permesso di acquisire un nuovo sguardo sulla malattia mentale e anche sulla realtà. Ho incontrato individui dalla sensibilità esasperata, emotivamente fragili, ma anche fantasiosi e creativi, sempre interessanti, alcuni addirittura geniali. La storia dell’uomo è costellata di individui del genere: eccentrici, bizzarri, anticonformisti, visionari, in molti casi con disturbi psichici gravi, ma altamente creativi in campo letterario, artistico, scientifico. Non c’è in pratica un giorno dell’anno che non sia legato a un «matto» più o meno geniale, spesso riabilitato, in tutto o in parte, dai posteri. Partendo da queste considerazioni, è nata l’idea di una sorta di calendario che racconti, al posto del santo del giorno, il «matto del giorno», Tra i matti del giorno compariranno anche personaggi inaspettati, come Colombo, Galilei, madame Curie, oggi celebrati come esseri superiori ma ai loro tempi giudicati dei fuori di testa, mentre il «matto del mese» è dedicato ai personaggi letterari ideati dalla penna di grandi scrittori.

Abramo Lincoln. Un eroico depresso che fa la storia

Siamo al secondo anno della guerra di Secessione e Abramo Lincoln, con audace azzardo che doveva rivelarsi geniale intuizione, anticipa i tempi e dà corpo al suo sogno antischiavista. Il 1 gennaio 1863 emana infatti l’editto di emancipazione degli schiavi negli Stati del Sud, poi esteso a tutto il territorio degli Stati Uniti il 31 gennaio 1865. Nato nel 1809 a Hodgenville, nel Kentucky, da una famiglia di pionieri, Lincoln, dopo una giovinezza vissuta in povertà, mantenendosi con lavori umili, riesce a laurearsi in legge da autodidatta, diviene poi un autorevole membro del Partito repubblicano e, nel 1861, il 16° presidente degli Stati Uniti. La sua elezione indusse gli Stati del Sud a proclamare la secessione. Lincoln cercò di scongiurare il conflitto, ma, una volta scoppiato, condusse la guerra con decisione, rafforzando la propria immagine politica e morale. Grande oratore, pronunciò alcuni indimenticabili discorsi, come quello tenuto dopo la battaglia di Gettysburg, con la famosa definizione del concetto di democrazia: «governo dal popolo, del popolo, per il popolo». Pochi giorni dopo il suo secondo mandato e pochi giorni prima di venire assassinato da un fanatico sudista, ci ha lasciato il suo testamento politico nell’appello alla nazione: «per compiere l’opera iniziata... senza odio verso nessuno e carità verso tutti». Intorno a lui sono fiorite infinite voci: era affetto da una malattia rara? era omo o bi sessuale? il suo assassinio fu opera di un killer solitario o il risultato di un complotto politico? Innumerevoli studi, nessuna certezza, leggende tante. Però che soffrisse di depressione era cosa certa, tanto che Joshua Wolf Shenk scrisse su questo tema un libro: Lincoln’s Melancholy: How Depression Challenged a President and Fueled his Greatness (Come la depressione ha sfidato un presidente e ha alimentato la sua grandezza). Il giovane Lincoln ne sarebbe stato vittima a seguito della morte, nel 1835, della ventiduenne Ann Rutledge, suo primo grande amore. Del resto l’ombra sembra dipinta sul volto di tutti i suoi ritratti fotografici. E lui ne doveva essere conscio se ricorreva a questa immagine per definire il proprio carattere: «Il carattere è come un albero... l’ombra è ciò che pensiamo di esso, l’albero è la cosa reale». Per sopportare il peso della lotta quotidiana contro l’ombra della depressione che lo inseguiva, si ripeteva: «La miglior cosa del futuro è che arriva un giorno alla volta».

Friedrich Wilhelm Nietzsche. L'uomo che sussurava ai cavalli

Il 3 gennaio 1889, a Torino, in un appartamento di via Carlo Alberto, un uomo danza nudo gridando di essere ora Dioniso, ora Gesù Crocifisso. È Friedrich Wilhelm Nietzsche. Da allora il filosofo-scrittore-poeta comincia a inviare ad amici e a personaggi pubblici i «biglietti della follia». A Cosima Wagner, moglie del grande musicista Richard, per esempio, che chiama «la mia principessa Arianna», scrive: «Ti amo. Firmato Dioniso». Il disagio mentale è evidente anche in un biglietto indirizzato a Umberto I, nel quale si rivolge al re chiamandolo figlio. Si racconta che, sempre quel 3 gennaio, sceso in strada, alla vista di un cocchiere che brutalizzava un cavallo, abbracciò e baciò l’animale piangendo. Friedrich Nietzsche, che al liceo abbiamo conosciuto come uno dei più grandi filosofi, il cui pensiero era destinato a influenzare profondamente la cultura del Novecento, colui che aveva annunciato la morte di Dio e la nascita del Superuomo, iniziava così la sua discesa nella follia.

Passava da stati di esaltazione a momenti di cupa tristezza, ma era anche capace di amara ironia: parlando del suo rapporto con Arianna-Cosima, definisce se stesso «Veuve Clicquot», alludendo alla velocità della donna nello «stappare» un corteggiatore per poi prontamente sostituirlo. Era una forma di schizofrenia superomistica quella di Nietzsche, o forse saggezza e follia vanno insieme?

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