Cultura e Spettacoli

Non solo fumetti e puntini. Ecco l'"altro" Lichtenstein

Finalmente si vedono anche i primi lavori (su carta) del maestro della Pop Art. E si capisce l'importanza della sua pittura citazionista

Un disegno di Roy Lichtenstein
Un disegno di Roy Lichtenstein

Torino - Le mostre di disegni in genere hanno ben poco appeal: sono difficili da guardare a causa della dimensione ridotta degli oggetti, eccessivamente specialistiche per il grande pubblico, talora addirittura dei surrogati di progetti più ambiziosi che non si riescono a realizzare per ragioni economiche. Ma ci può essere un'eccezione e allora anche andarsi a vedere centinaia di opere su carta vale la pena. È certamente il caso di Roy Lichtenstein. Opera prima , da poco inaugurata alla GAM di Torino (prodotta da Fondazione Torino Musei e da Skira, è curata dal direttore della GAM torinese, Danilo Eccher; fino al 25 gennaio 2015). Un'esposizione sciccosa, per palati fini, molto ben curata, che pure tenta la sfida dei grandi numeri. Si sa, la Pop Art è una delle ultime tendenze artistiche del '900 ad attrarre un pubblico non solo di addetti ai lavori, e rappresenta l'ultimo limite temporale di un'avanguardia digerita e sufficientemente comprensibile. Dopo Andy Warhol è proprio Roy Lichtenstein l'artista più conosciuto del movimento: pur non avendo l'ampiezza di interessi e la varietà linguistica del guru pop, non è comunque corretto relegarlo al consueto ruolo di eterno secondo.

A differenza di Warhol, insomma, Lichtenstein fa tutto un lavoro interno al linguaggio della pittura e il disegno ne è la base preparatoria, il luogo dove si studiano soluzioni e si sperimentano immagini che spesso sono destinate a diventare quadri. «In quasi mezzo secolo di carriera ho dipinto fumetti e puntini per solo due anni. Possibile che nessuno si sia mai accorto che ho fatto altro?», diceva Lichtenstein a chi lo accusava di essere un artista ripetitivo. Se invece ripercorriamo l'intero iter che va dalla fine degli anni '40 a metà dei '90 (Lichtenstein era nato nel 1923 e muore nel 1997) ci troviamo di fronte a un corpus grafico molto vario e articolato. I primi lavori, come ovvio, sono debitori alle atmosfere dell'Espressionismo astratto e al genio di Picasso, ma già nel 1958 Roy scopre il mondo dei fumetti: gli iniziali Bugs Bunny e Mickey Mouse hanno un segno duro e aspro, che non lascia intuire ancora la svolta dei primi anni '60. Dopo aver «immortalato» gli oggetti della vita quotidiana (una tazza, un gelato, un orologio, una fetta di pane) e aver scoperto il valore onomatopeico della parola, Lichtenstein compie un'operazione postmoderna in netto anticipo rispetto ai tempi: preleva (anzi si potrebbe addirittura dire campiona) immagini dai cartoon disegnati e le ricontestualizza in un ambito alto, quello della pittura. È questa invenzione a renderlo una figura chiave nella storia dell'arte, anche se lui stesso ha sottolineato più volte di aver fatto tante altre cose altrettanto importanti.

I disegni preparatori di dipinti molto importanti ci sono tutti, a cominciare da Oh Jeff.. I Love You, Too... But del 1964, ritratto di una giovane donna al telefono che dimostra l'interesse dell'artista per tabloid e stampa popolare. C'è anche POP (1966), la parola che esplode dalla nuvoletta di un comic, sorta di manifesto visivo di una tendenza non solo artistica ma anche culturale e sociale.

Concentriamoci però sull'«altro Lichtenstein», che ha davvero esplorato le diverse possibilità della pittura diventando a un certo punto un citazionista che si diverte a elaborare immagini dalla storia dell'arte, con rimandi che vanno da Picasso a Matisse, dalla statuaria classica al Bauhaus. Se c'è un collega (ma è quasi certo che non lo abbia mai incontrato) che gli somiglia per atteggiamento, questo è Giorgio de Chirico, maestro del répechage e primo a stabilire con la tradizione un rapporto creativo e non conflittuale.

Per Roy, racconta la moglie Dorothy nel testo in catalogo, «disegnare era l'essenza dell'arte. Ne ricercava e ne vedeva ovunque le potenzialità, nelle opere degli altri, nella pubblicità, nel design e nella decorazione, e alla fine le trovò perfino nei fumetti, l'espressione artistica in assoluto più svilita». Per ogni opera partiva sempre da un disegno, utilizzando strumenti di tutti i tipi, matite, pennarelli, pennelli, china e penna a sfera, aggredendo qualsiasi tipo di supporto, persino le pagine delle guide telefoniche. Ciò gli consentiva di lavorare anche in viaggio, appuntandosi quelle idee che in buona parte sarebbero diventate quadri.

Questa mostra ha il merito di raccontare la genesi di un lavoro, mettere un punto su ciò che sta dietro o che viene prima.

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