Nel 1952 Arthur Koestler ebbe fra le mani il testo con cui Otto Katz, allora accusato nel processo Slansky di essere una spia inglese, un trotskista e un cospiratore sionista, ammetteva le proprie responsabilità e chiedeva per sé l'albero più alto per l'impiccagione. «Il solo servizio che posso ancora rendere è di servire come avvertimento per tutti quelli che...» diceva Katz, e a Kostler tornarono alla mente le parole che lui stesso, dodici anni prima, aveva messo in bocca a Rubashov, il protagonista di Buio a mezzogiorno, il comunista che, innocente, accettava di dichiararsi colpevole per servire un'ultima volta il Partito e al Partito. «Non c'è nulla per cui si possa morire, se si muore senza essersi pentiti, senza essersi riconciliati con il Partito» diceva Rubashov nel romanzo, e nella realtà Katz esprimeva lo stesso concetto.
La confessione del primo si ispirava a quella vera che Zinoviev, «il figlio prediletto» di Lenin, aveva pronunciato al tempo delle grandi purghe staliniane degli anni Trenta, e ora quella del secondo la riprendeva, pensò lo scrittore, nel nome della finzione e come a sottolinearne la finzione, una richiesta d'aiuto e insieme una dichiarazione di innocenza. Quella notte Koestler vomitò e pianse. «Non una voce si levò in sua difesa fra gli editori, i giornalisti, le star di Hollywood e il bel mondo che aveva ruotato intorno a Otto nei romantici, rosei giorni del Fronte popolare» scrisse poi nel suo diario.
Al tempo della guerra di Spagna, Otto Katz aveva tirato fuori Koestler dal carcere franchista dove era stato rinchiuso con l'accusa di spionaggio e la prospettiva di essere fucilato. Lo aveva fatto mettendo in piedi una campagna internazionale di stampa per la sua liberazione, e quando finalmente Koestler arrivò a Parigi, trovò Katz alla stazione con un gigantesco mazzo di fiori. Facevano entrambi parte del cosiddetto Trust Münzenberg, ovvero la più incredibile fabbrica di manipolazione di massa e del consenso creata dall'Urss in Europa, il comunismo che si fingeva democratico e pacifista e spronava alla lotta antifascista. Per molti versi simili, poliglotti, seduttori, scrittori, dinamici, avventurieri, a loro agio negli alberghi e nei salotti, differivano in una cosa: Arthur era un puritano ingenuo al servizio della causa, Otto un militante cinico e fedele. Quando Willi Münzenberg ruppe con Stalin, al tempo del patto russo-tedesco, si ritrovò al suo fianco Koestler, che aveva già rotto con il comunismo, ma contro Katz, rimasto con Mosca. È difficile dire se nell'assassinio mascherato da suicidio di Münzenberg ci sia stata la sua mano, ma è certo che nella successiva campagna diffamatoria su di lui, un collaborazionista fascista, c'è il suo marchio di fabbrica.
Organizzatore del Comitato di Soccorso Mondiale, organizzatore del Comitato di Soccorso Spagnolo, direttore amministrativo dell'agenzia di stampa spagnola, amministratore dei fondi segreti per la propaganda del governo lealista presso i giornali e gli uomini politici francesi, ambasciatore itinerante dei comitati antifascisti fra Londra e Hollywood, Katz fu un uomo dalle molteplici vite. Jonathan Miles ne ha contate almeno nove (The nine Lives of Otto Katz, Bantam Books, pagg. 491 sterline 8,99), a partire da quella di playboy nella decadente Germania degli anni Venti, per finire con quella di editorialista principe del quotidiano praghese Rudé Pràvo, consigliere ombra del Governo comunista cecoslovacco e poi sua vittima sacrificale.
Di queste nove esistenze, punteggiate da molteplici identità, André Simone, Rudolf Breda, Simon Katz, Joseph Katz, André Simon, O.K. Simon, la più incredibile resta quella, come dire, cinematografica... Due film furono infatti girati prendendo come modello la sua esistenza, naturalmente quella pubblica di «combattente per la libertà e la democrazia», non quella nascosta di stalinista e manipolatore della libertà e della democrazia. Uno, è oggi pressoché dimenticato, Watch on the Rhine (Quando il giorno verrà), di Herman Shumlin, con Bette Davis e Paul Lukas; l'altro è ancora famosissimo e ha per titolo Casablanca.
Sì, Victor Lazlo, interpretato da Paul Henreid, l'eroe antinazista che portava via Ingrid Bergman a Rick-Humprey Bogart, era la proiezione cinematografica di ciò che Katz-Breda-Simon eccetera aveva rappresentato nei suoi tempi d'oro di fondatore della Lega antinazista di Hollywood. L'oratore dalla retorica fiammeggiante che faceva le campagne per la Spagna repubblicana e il crociato della giusta causa, la «primula rossa dell'antinazismo», l'amico e l'ospite di Fritz Lang e Peter Lorre, Billy Wilder e Doroty Parker, Frederic March e Norma Shirer, l'intellettuale impegnato che cenava con W.H. Auden, Cristhopher Isherwood, Noël Coward; l'accompagnatore galante di Lillian Hellman, la scrittrice moglie di Dashiell Hammett. A cena con lei, una sera si era avvicinata al loro tavolo Marlene Dietrich: i due si erano baciati e poi parlati a bassa voce, teneramente. Poi Marlene era tornata al suo tavolo e ai suoi ospiti e Katz, sorridendo, aveva detto a Lillian: «Per favore, dimentichi quello che ha sentito. Un tempo ci siamo amati, lei era molto giovane, e io non ero così triste». Con il giornalista inglese Claud Cockburn andò oltre: «Sono stato il suo primo marito» gli disse.
Perché Otto Katz fu realmente una star nel decennio fra gli anni Trenta e Quaranta. Organizzava raduni, incontrava politici e scrittori, pubblicava libri, commuoveva per iscritto e verbalmente, appariva e scompariva dietro gli eventi che aveva contribuito a creare. Era un bell'uomo, dal sorriso assassino, bruno, il fascino trasandato di chi, dovendo salvare il mondo, non può permettersi il lusso di essere anche elegante. Era il tipo di persona, ha scritto Koestler, «che accendendo una sigaretta chiudeva sempre un occhio, e questa sua abitudine divenne così connaturata in lui che spesso chiudeva l'occhio sinistro mentre rifletteva su un problema, anche quando non stava fumando». Attraeva le donne, specie quelle, nota ancora Koeslter, «di mezza età, volenterose e politicamente attive».
Chi sapeva la verità su Katz erano naturalmente gli antichi sodali del Trust Münzenberg, ma negli anni Trenta la sinistra comunista era un campo minato: purghe staliniane, minoranza troskista, anarchici repubblicani... Ci si divideva, ci si diffamava, spesso si spariva: omicidi travestiti da suicidi, suicidi per paura o per disperazione, braccati dall'antico compagno divenuto ora nemico. Il tedesco Arthur Regler, già combattente in Spagna e poi internato in Francia nel 1940, che se lo ritrovò di lì a poco in Messico e si convinse che dietro il «picconamento» di Trotski ci fosse comunque Katz, lo definì «il piccolo Goebbels rosso». Venne accusato di deviazionismo e collaborazione con il nemico. Se era ancora vivo, scrisse la stampa controllata da Katz, era perché aveva tradito... Tutti gli altri, i «compagni di viaggio», gli «utili idioti» intellettuali che giocavano alla rivoluzione come se partecipassero a un «party per bambini viziati», secondo la definizione di Stephen Spender, non si accorsero invece di nulla, non si resero mai conto di essere costantemente manipolati. Oppure tacquero. Non era politicamente corretto.
Sopravvissuto alle purghe degli anni Trenta a alla Seconda guerra mondiale, Katz, come ricordato all'inizio, finì vittima di quel sistema della menzogna che aveva contribuito a edificare. Morì solo, e le sue ceneri vennero sparse fuori Praga, affinché neppure una tomba potesse reclamarle.
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