Cultura e Spettacoli

Quando gli italiani presero ad odiarsi

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto di Un gioco da ragazzi (La Nave di Teseo)

Quando gli italiani presero ad odiarsi

Due destini ben diversi attendevano le famiglie Scarrone e Rustici. I primi appartenevano a una categoria che da sempre era tenuta in considerazione, quella dei professori, non avevano inimicizie e, a parte l’inevitabile tessera del partito, nemmeno particolari legami con il fascismo.

Certo, bisognava ricominciare da capo, ma tutto sommato la ripresa per loro fu piuttosto rapida e indolore: dopo altri due anni nella casa del lago riuscirono a tornare a Milano in un piccolo appartamento a Porta Romana dove la pensione del padre e lo stipendio del figlio Carlo consentirono agli Scarrone di riprendere, come si diceva a quei tempi, “una vita dignitosa”.

Per i Rustici il discorso era molto differente: il capofamiglia era stato parte integrante del regime appena caduto, si era esposto e aveva tratto benefici dalla sua posizione. Tornati nel loro appartamento di Milano trovarono la porta sfondata: era stato portato via quasi tutto e quello che avevano lasciato era stato distrutto con metodica furia. Uscirono in strada a protestare, qualcuno si fece avanti a muso duro e a pagar pegno fu Margherita, la sorella maggiore: la presero e, tra sputi e spintoni, venne rapata a zero.

Un gioco da ragazzi

Cambiarono quartiere e si dovettero accontentare di un bilocale in corso Lodi, con le due ragazze che dormivano nel tinello in un vecchio divano letto sopravvissuto al saccheggio. Il padre delle ragazze subì un processo dal quale venne assolto solo tre anni dopo: l’esperienza fu devastante per tutti, fu impossibile superare il rimpianto e, soprattutto, il rancore. Margherita era quella che, durante la dittatura, si era esposta di più: nata nel 1916, aveva seguito un percorso inappuntabile per quei tempi, da “figlia della lupa” a “piccola italiana” fino a diventare “giovane italiana”: non aveva mai avuto un tentennamento, aveva sposato incondizionatamente la dottrina fascista, non aveva vacillato nemmeno quando, per le leggi razziali, aveva visto partire tra le lacrime alcune sue compagne di classe.

Quello che era successo dopo la caduta del regime aveva, se possibile, radicalizzato ancora di più le sue posizioni e il suo incrollabile pensiero: per tutto il resto della sua vita il fascismo avrebbe rappresentato la gioventù spensierata, l’esaltazione, i grandi ideali, il rigore morale.

Naturalmente, anche se non sarebbe mai riuscita ad ammetterlo, confondeva tutto questo con i privilegi dei quali aveva goduto fino a quel terribile risveglio. Non aveva mai conosciuto i partigiani veri, gli oppositori del regime, nulla sapeva né voleva sapere di Gramsci o Nenni: per lei i “partigiani” erano solo quelli che, a guerra terminata, avevano messo il fazzoletto rosso al collo dando il via a regolamenti di conti che nulla avevano a che vedere con la giustizia o con la speranza in un mondo migliore…

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