Quei carnefici perbene che governarono Vichy

Alexandre Jardin è un popolare autore di romanzi umoristici, come il padre Pascal (noto con lo pseudonimo di Zubial). Eppure Alexandre, mentre scriveva brillanti storie d'amore talvolta finite sul grande schermo, studiava la storia della Repubblica di Vichy, mosso da un interesse tutto personale: cercare la verità sul nonno Jean. Un personaggio singolare, con uno strano soprannome, «nano giallo», immortalato proprio da Zubial in un famoso libro autobiografico.
Il nonno Jean passa come una sorta di eroe nazionale, a suo tempo abile nel districarsi fra le maglie del regime filonazista. Ma la verità è un'altra. Il «nano giallo», in qualità di altissimo funzionario, braccio destro del primo ministro Pierre Laval, è responsabile di gravi provvedimenti antisemiti, inclusa la deportazione di migliaia di ebrei. Alexandre Jardin decide di «tradire» la famiglia, e di raccontare la vera storia del «nano giallo» in Persone perbene (Bompiani, pagg. 208, euro 17). È un libro generoso, che offre tantissimo.
C'è la Storia, con la scoperta del coinvolgimento del «nano giallo» nella politica di Vichy. Ne escono vividi ritratti di Laval, di René Bousquet, del decrepito Pétain. Poi c'è la rimozione collettiva del passato di una nazione sconfitta. Come è possibile che il «nano giallo» nel dopoguerra sia diventato una eminenza grigia della politica francese? Come è possibile che le sue responsabilità siano sfuggite perfino ai suoi titolati biografi? Il «nano giallo» era capace di muoversi dietro le quinte e di rendersi indispensabile, a esempio facendosi carico della redistribuzione dei fondi neri tra i partiti. Poteva poi vantare l'appoggio trasversale di avversari come il socialista Mitterrand, anch'egli «titolare» di un passato a Vichy. Infine, e siamo al terzo motivo d'interesse del libro, Jardin entra in un campo minato, e cerca di capire le motivazioni dei collaborazionisti. Per bruciare una sinagoga, spiega l'autore, basta indottrinare qualche fanatico, ma per applicare un antisemitismo di Stato ci vuole l'adesione incondizionata di persone perbene. Il male, per fare il suo lavoro, ha bisogno «di valori elevati, di onestà e di abnegazione».
Per quanto intollerabile possa sembrare oggi, «il personale di Vichy grondò di una melassa di buoni sentimenti, molto lontana dalla corruzione morale che gli attribuiamo per rassicurare noi stessi». Siamo oltre la banalità del male. Il «nano giallo» non è un burocrate battitacchi. È dotato di un'etica, criminale ai nostri occhi, «che collocava al primo posto delle preoccupazioni il mantenimento della sovranità nazionale». A costo della deportazione di migliaia di ebrei, bambini inclusi. Ecco l'autodifesa del “nano giallo” immaginata dal nipote scrittore: «Cosa vuoi che faccia? Che la Francia intera si dia alla macchia per alcuni ebrei naturalizzati da poco? Facendo correre ai nostri prigionieri il rischio di rappresaglie draconiane? Vorresti che si cessasse di fare funzionare il Paese, che si impedisse ai treni di partire e al commercio di nutrire le famiglie? Sarebbe proprio una bella cosa...

rifiutare il minimo vitale alla gente. Il mio onore sarebbe salvo, sì, ma la nazione, ci hai pensato?».
Il carnefice presenta le sue azioni come un sacrificio. Jardin comprende senza giustificare: ci regala così un libro drammatico e profondo.

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