Quell'Italietta anni 50 più furba che gaudente Tra la Vespa e il Duce

Enrico Brizzi chiude la trilogia di storia alternativa: "Così ho immaginato Mussolini che vince la guerra"

Quell'Italietta anni 50 più furba che gaudente Tra la Vespa e il Duce

«La Costituzione della Repubblica Italiana entrò in vigore il 1º gennaio 1948, per segnare l'inizio d'una nuova era di pace e prosperità». E questa è Storia. «Benito Mussolini, il Duce che ci aveva esortato a compiere la rivoluzione nazionale e vincere la guerra contro la Germania nazista, fu acclamato nella stessa gloriosa giornata padre della Patria e Presidente a vita». E questa è fantastoria, o ucronia. Un genere di narrativa fantastica basato sulla premessa generale che la storia di una nazione o un popolo abbia seguito un corso alternativo rispetto alla realtà. Come ad esempio immaginare che il nostro Paese, schieratosi a fianco degli Alleati contro i tedeschi, abbia vinto la Seconda guerra mondiale, e Mussolini, vivo e acciaccato, governi sull'Italia fascista, trionfante e repubblicana degli anni Cinquanta. Un'istigazione dal punto di vista politico. Un azzardo da quello editoriale.

E una trilogia da quello letterario: dopo il romanzo L'inattesa piega degli eventi e La nostra guerra (usciti da Baldini Castoldi nel 2008 e 2009), Enrico Brizzi, e questa è cronaca, pubblica ora la terza parte della sua epopea fantastorica italiana: Lorenzo Pellegrini e le donne (Italica edizioni). Dove si racconta dell'amore del protagonista, scorrazzante con la sua Vespa da 98 cc fra Bologna, le Tre Venezie e l'Oltralpe già austriaco, per la bella e soave Irene Maier. E come sia complicato fidanzarsi nel 1950, in particolare se ti trovi a essere giornalista precario, amante dello swing e sei sottoposto agli obblighi di leva...

Una storia alternativa e strana, che si apre proprio con la proclamazione della Costituzione («No, non ho visto Benigni l'altra sera. Ha commentato la Costituzione? Davvero? Si assume sempre compiti difficili... Dante, l'Inno di Mameli... Il Padre Nostro, quando lo spiega? Quando ero ragazzino Benigni era dissacrante, ora mi sembra la pubblicità delle buone intenzioni»), e che continua con un Mussolini sulla via dell'esaurimento nervoso, dopo un ventennio di potere, alle prese coi suoi litigiosi gerarchi... Una storia che ricorda qualcuno... «Veramente il “mio” Duce ricorda tutti gli uomini soli al comando, ossessionati dal potere. Io sono nato con Ceausescu e Honecker. Ho visto dittatori in ascesa e al tramonto. Il Mussolini dei miei romanzi è tutti e nessuno... È Ceausescu, è Berlusconi, è Beppe Grillo tra vent'anni...».

Sessant'anni fa, invece, nell'ucronia di Brizzi, l'Italia fascista e repubblicana è un'Italia gonfia, tronfia, con le sue colonie, un riconosciuto prestigio internazionale ma intellettualmente spenta, con i difetti culturali e antropologici di sempre: la corruzione, il clientelismo... «... il culto atavico del capo: un vizio che il nostro Paese, come è tipico delle democrazie troppo giovani, non ha mai superato: la devozione per il leader, per il vincitore delle primarie, per il capufficio. Tutta gente che ci illudiamo possa risolvere i problemi, e che invece ci rendono il popolo che siamo, quello raccontato dai Meneghello o dai Tognazzi: un popolo passivo e ignavo, più furbo che intelligente, più adulatore che intraprendente...».

Un'altra Italia, la stessa Italia. Un'altra Storia, e le stesse storie. «Quando ero bambino le storie che sentivo raccontare in casa erano quelle: famiglie divise tra partigiani e fascisti, fratelli che si sparavano addosso, vendette, paesi distrutti, episodi d'eroismo e altri di vigliaccheria. Il fascismo è stata la nostra Iliade e la nostra odissea. Ma era una storia vera...». Una Storia e delle storie che è tempo di rileggere. «Sì, ma non per ripensare quel periodo dal punto di vista dello storico o del giornalista d'inchiesta. Semmai da quello del narratore puro. Per parecchio tempo una certa ipocrisia ideologica ha fatto sì che non si potesse parlare della guerra, se non addolcendola con la retorica. Io mi sono preso la libertà di inventare, sulla base di fatti veri, una risposta alla domanda: “E se invece fosse successo che...?”». What if?

E cosa sarebbe successo se Enrico Brizzi - scrittore dall'impeccabile stile, ex cannibale per caso, narrativamente fuori dal gruppo, psico-atleta sempre in cerca del sé, in cammino fra Roma e Gerusalemme, dall'Alto Adige alla Sicilia («In primavera si riparte: girerò a piedi tutte le Tre Venezie», anche se intanto passeggia per Bologna con la quarta figlia di 5 mesi appesa al marsupio) - cosa sarebbe successo se avesse pubblicato il nuovo romanzo per un grosso gruppo invece che per una piccola, e nuova, casa editrice indipendente? «Beh, avrei già avuto paginate sui grandi giornalini e i corrieroni. Mentre così sarà tutto più lento. Mi avrebbero organizzato un tour promozionale nei grandi bookstore. Però mi sarei perso le piccole presentazioni coi lettori nei posti più strani, quelli che ho battuto nelle scorse settimane, come il Museo del Grande Torino, o le librerie o le gallerie d'arte di Rimini, o Foligno, o Firenze. Talmente piccole che quando hai finito, esci in pizzeria con quelli che erano in sala ad ascoltarti».

Vendi meno, ti diverti di più. Cose che capitano a chi va indietro, invece che avanti. E che dopo una lunga e fortunata carriera letteraria torna alle origini, da un piccolo editore.

Come fece un giovane Enrico Brizzi quando consegnò «una maestosa storia d'amore e di rock parrocchiale» che s'intitolava Jack Frusciante è uscito dal gruppo alla piccola Transeuropa. Ma era un ventennio fa. Scritto minuscolo.

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