«Ci sono ancora storie possibili, storie per scrittori?», si chiede all'inizio del suo racconto La panne Friedrich Dürrenmatt (1921-90), sfidando se stesso, e tutti i suoi colleghi narratori, a raccontare una storia in cui un evento banale, e casuale , come un guasto automobilistico, possa cambiare l'esistenza di un individuo, e in cui la vicenda banale, e casuale , di un individuo possa diventare un exemplum universale. E che ciò sia possibile (lasciando stare i casi clinici e psicologici degli scrittori impegnati a raccontare solo di sé, generalizzando in termini romantici e lirici il proprio Io, che si sentono «obbligati a parlare con spietata sincerità delle proprie speranze e sconfitte», ah che magnifica stroncatura della nostra più recente autofiction!) lo dimostra, appunto, il suo La panne , un racconto, o romanzo breve, del 1956, che ora Adelphi riporta in libreria: 90 paginette, un'ora di lettura e un'inquietudine - e un appagamento - che rimarrà per sempre.
La storia, di impianto teatrale (sarà portata sul palcoscenico e anche al cinema), dura una notte, si svolge tutta fra la sala da pranzo e il salotto di una vecchia casa di campagna, e vede soltanto cinque personaggi in scena, più una servetta, che non ha voce né volto nel racconto di Dürrenmatt ma ha il volto e il corpo magnifici di Janet Agren nel film molto liberamente ispirato al romanzo La più bella serata della mia vita , del 1972, girato da Ettore Scola e con un Alberto Sordi perfetto.
Zero azione, dialoghi da citazione, atmosfera pennellata da un maestro della suspence e un breve prologo da antologia sull'essenza del romanzo, La panne è la storia di un rappresentante di commercio che, appiedato da un guaio meccanico alla lussuosa Studebaker, trova ospitalità per la notte da un simpatico vecchietto, un giudice in pensione che ha sempre amici a cena... tutti colleghi: un ex pubblico ministero, un ex avvocato, e un silenzioso boia. Di solito, per passare il tempo, rifanno i famosi processi storici: a Socrate, a Gesù, a Giovanna d'Arco, a Dreyfus. Ma naturalmente il massimo diletto è quando si giuoca con persone reali. «Il che aveva portato molto spesso a situazioni oltremodo interessanti».
E sarà molto interessante, nella lunga, pantagruelica, raffinata cena processuale - fra uova alla tartara e brodo di tartaruga, arrosto di vitello farcito di rognoni e Pichon-Longueville del 1933, plateau di formaggi e Château Pavie del 1921 -, indagare sulla tranquilla vita quotidiana del signor Traps, rappresentante di commercio, sposato, quattro figli, un debole per le belle donne, l'ambizione di un ricco tenore di vita, pochi scrupoli, la giusta avidità. Quale sarà la dürrenmattiana sentenza? Bisogna stare attenti, perché la giustizia, là fuori, spesso è un gioco, e vittima del caso, proprio come quella celebrata qui dentro...
Desiderare che una disgrazia colpisca il nostro superiore per ottenere un avanzamento di carriera è perfidamente umano e riprovevole, ma non un crimine. Avere una relazione extraconiugale è immorale e persino peccato, ma non è reato. L'arrivismo, l'assenza di scrupoli, il cinismo che mirano all'arricchimento e all'affermazione professionale sono comportamenti criticabili in alcune forme e circostanze, ma non hanno alcuna rilevanza penale. O così dovrebbe essere. Se non che, quando il rappresentante di articoli tessili chiede con curiosità quale reato gli imputassero, il pubblico ministero, pulendosi il monocolo, gli risponde che è un punto di scarsa importanza: un reato si finisce sempre per trovarlo. Ecco perché La panne è un classico. Perché ciò che racconta è valido in tutti i luoghi, in ogni tempo.
E ciò che racconta La panne , in chiave grottesca e surreale, è che dietro la faccia perbenista delle società umane si nascondono infinite meschinità. Che ciò che sembra vero non lo è mai fino in fondo, e così come ciò che sembra falso non lo è mai del tutto (il protagonista è un uomo che entra in scena innocente ma viene giudicato reo di omicidio, e mentre tutto sembra dimostrare la sua estraneità ai fatti lui si convince con orgoglio di essere colpevole). Che confondere la verità «umana», l'etica, con la verità «processuale», il crimine, è un vizio pericoloso e antico. E che a volte chi disprezza maggiormente la legge non sono i criminali, ma chi la esercita.
Come spiega il giudice del racconto, «noi quattro qui seduti a questo tavolo siamo ormai in pensione e perciò ci siamo liberati dell'inutile peso delle formalità, delle scartoffie, dei verbali, e di tutto il ciarpame dei tribunali. Noi giudichiamo senza riguardo alla miseria delle leggi e dei commi». Un incubo. Che per molti è un sogno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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