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"Ricostruire la grandezza perduta": cosa si cela nella mente dello Zar

Decifrare la Russia, l'immensa nazione che si estende dal Baltico al Pacifico, non è facile. Come non è facile decifrare Vladimir Putin. Ecco da dove arriva e chi ha influenzato il pensiero del capo del Cremlino

"Ricostruire la grandezza perduta": cosa si cela nella mente dello Zar

La Russia è una nazione che appare disarticolata in mille anime, percorsa da atavici fattori ansiogeni rispetto a un’eventuale ed ennesima invasione e sempre pervasa da una sorta di missione spirituale che la innalzerebbe a scudo contro le forze apocalittiche del caos.

Nelle ultime settimane il dibattito pubblico si è però privato della comprensione di questa peculiare complessità. La maggior parte degli analisti, pur replicando con una certa insistenza un ottimo repertorio di citazioni, da Henry Kissinger (Per capire Putin si deve leggere Dostoevskij, non il Mein Kampf) a Winston Churchill (La Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro ad un enigma), non è mai andata oltre la scorza di questo frasario nel timore di passare per collaborazionista.

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Di questa gigantesca nazione che si estende dal Baltico al Pacifico, che si struttura su una indecifrabile mistura ideologica alimentata da pensatori poco noti in occidente ma che alla fine riesce a trovare una praticabilità politica grazie a quelle strane figure chiamate “siloviki”, ce ne racconta i viluppi Emanuel Pietrobon nel suo ultimo libro Nella testa dello Zar. I segreti di Vladimir Putin, (Giubilei-Regnani, pp.132).

Pietrobon fa una disamina innanzitutto dei pensatori che hanno esercitato una certa influenza su Putin, almeno a tener conto del numero di citazioni in interventi ufficiali: il sofiologo Vladimir Solov'ëv, il linguista ed eurasista Nikolaj Trubeckoj, il geopolitico Piotr Savitskij, il mistico Konstantin Leont'ev, poi Nikolaj Berdjaev, Ivan Il'in e Nikolaevič Gumilëv (1912–1992), menzionato financo al Forum economico mondiale di Davos.

Gumilëv, padre fondatore di una forma particolare di eurasismo, ha disegnato una morfologia della storia dei popoli basata su un processo di sviluppo lineare e progressivo in cui "le civiltà e i popoli fioriscono quando dominate dai passionari e appassiscono quando, superata la fase dell’acme, si addentrano negli stadi involutivi che le condurranno al decesso". Morfologia di cui Putin ne ha ripreso integralmente gli assunti: "Io credo nella teoria della passionarietà. La Russia non ha ancora raggiunto il suo acme. Stiamo ancora marciando".

Quello russo è un mosaico che va dunque anatomizzato con canoni interpretativi meno epidermici o solo legati alla pur tremenda cronaca di guerra perché, come scrive Fausto Biloslavo nella prefazione al volume, non abbiamo capito nulla di quel mondo:"La triade che ispira l’ex ufficiale del Kgb, “ortodossia, autocrazia, nazionalità”, come gli Zar del passato, spiega le apparenti contraddizioni del presente. Oggi, nelle città occupate, i russi alzano la bandiera sovietica della conquista di Berlino nel 1945. Al loro fianco combattono i ceceni che da tempo sono inquadrati nell’esercito. A Sebastopoli, sede della flotta del Mar Nero, rispuntavano i cosacchi sventolando lo stendardo con il volto dell’ultimo Zar Nicola II Romanov".

Un groviglio concettuale che trova uno sbocco grazie ai “siloviki”, figure capaci di far confluire sulla loro persona le incurvature di questo complesso sistema reticolare che si estende dalla Chiesa ortodossa a tutte le policrome identità che dimorano un territorio sterminato. Uomini del potere come lo stesso Putin o come tutti coloro che si sono succeduti negli ultimi quattro secoli, e capaci di mettere sempre la parola fine a drammatici periodi di interregno.

Eppure, tutto era già noto. Il manifesto politico del 30 dicembre 1999 (La Russia alla svolta del Millennio), che Pietrobon riporta per la prima volta in traduzione integrale, anticipava le strategie di fondo di Putin: ricostruzione della grandezza perduta, ritorno ai fasti imperiali, rinazionalizzazione delle masse attraverso i valori patriottici e tradizionali e realizzazione di una "democrazia dalle caratteristiche russe".

Quello che molti leader europei consideravano un liberal-conservatore che sognava di aderire all’Alleanza Atlantica e di avvicinare la Russia all’Unione europea aveva messo tutto nero su bianco. Bastava leggere!

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