E' una parola fresca e versatile che si è irradiata nelle arti, dai Capricci di Paganini a quelli del Guardi. Nel linguaggio a noi comune indica qualcosa di fantasioso, di stravagante, evoca il desiderio, la leggerezza, un pensiero bizzarro, un amore fugace. Ma non è sempre stato così; è un po' come se la parola possedesse due anime, e se quest'ultima, più gradevole, avesse preso pian piano il sopravvento sull'altra. Infatti fino all'Ottocento la definizione più consueta era “quel tremore scorrente per le carni che fa arricciare i capelli e i peli o per il freddo, o per febbre che sopravvenga, o per orrore di checchessia” (Manuzzi). Pelle d’oca, si direbbe.
Molti vocabolari rinviano al latino horror, nel senso proprio di orrore. Il significato originario era dunque riconducibile a timore, paura, che rimangono tuttora saldi nella variante “raccapriccio”, che vuol dire appunto inorridire, rabbrividire, per freddo o per spavento. Il Tommaseo cita anche il termine “caprezzo”, un po’ capriccio, un po’ ribrezzo (nel senso, quest’ultimo, di “brivido di freddo o di febbre, o di violenta impressione di repulsione e di schifo”).
Incerta, secondo il Dei, l'etimologia, che s’immagina provenga da “caporiccio” cioè “capelli arricciati per la paura” e in questo senso la parola è usata già nel XIV secolo da Cecco Angiolieri.
Invece nel significato di “bizzarrìa” entra nella lingua ben tre secoli dopo, ma alla fine è questo che prevale. Alfredo Panzini è l'unico a suggerire l'etimologia da capra, per il comportamento – dice - bizzarro di questo animale. E a proposito di capriccio annota: “Voce frequente su labbra femminee”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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