“Avere le traveggole” è un’espressione antiquata ma piacevole, stravagante, che significa vedere una cosa per l’altra, quasi un appannamento della luce degli occhi per cui gli oggetti si vedono alterati. Anche abbagliarsi, allucinarsi. “Vedere in modo imperfetto quasi che vi fosse qualcosa di mezzo tra occhi e oggetto” (Rigutini-Fanfani). “Cosa che fa travedere, illusione” (Pianigiani). Traveggole è solo plurale e deriva dal verbo “travedere” (composto di tra e vedere), vedere al di là, ingannarsi nel vedere, vedere confusamente. “Traveggo” è la variante arcaica di travedo, come “veggo” di “vedo”; esattamente come “seggo” è la variante arcaica di “siedo” (e da qui sembra pressoché automatica la derivazione di seggiola – come traveggola -, sebbene nessun dizionario, stranamente, individui questa relazione). Veggo non si usa più: ma sono rimasti nella lingua comune termini come veggenza, chiaroveggenza, veggente (“dotato della vista, opposto a cieco”). Travedere ha generato poi altri termini quali “intravedere” (scorgere poco a poco), “stravedere” (per qualcuno).
Il Palazzi alla parola “traveggole” cita anche un male della vista, chiamato “scotoma” (skòtos in greco significa oscurità); spiega che si tratta di “un’alterazione della retina che provoca specie di allucinazioni della vista per cui gli oggetti appaiono di colore nero e si vedono macchie nerastre immobili”; per il Dizionario della Minerva (Padova, 1827) è
“vertigine tenebrosa con difficoltà di reggersi in piedi”. Il Deli alla voce traveggole rimanda al toscano scherzoso “andare a babboriveggoli” che significa morire: un falso toponimo che allude al “rivedere il babbo defunto”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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