Mentre c’è una generazione di giovani (neppure poi tanto) e mediocri autrici che hanno fatto del femminismo maschiofobico la loro bandiera a colpi di asterischi e schwa (quelle che chiamo le schwastiche), ci sono scrittrici che da costoro non vengono mai nominate (per forza, sono brave), come Barbara Alberti, Isabella Santacroce, o Gaia de Beaumont. Di quest’ultima è appena uscito il romanzo Scandalosamente felice, edito da Marsilio, che altro non è se non una biografia di Joséphine Baker, ma non l’ennesima biografia della più celebre e rivoluzionaria ballerina e cantante americana naturalizzata francese. Come nella biografia di Dorothy Parker (Scusate le ceneri), de Beaumont racconta luci e ombre, con tocco intimo e leggero, senza lagnosità politicamente corrette, con amore per ogni aspetto della vita della straordinaria Baker. È stata la prima donna star nera, «la sconvolgente e oltraggiosa ventenne dalla pelle scura più bella che si sia mai vista addosso a qualcuno» (già questa frase chi l’avrebbe mai scritta, di coloro che non distinguono più il bello dal brutto). Dall’infanzia difficile, con una famiglia abbandonata a tredici anni, al precoce debutto a Broadway, a sedici, fino al visibilio in cui mandò Parigi, perché tutti impazzirono per lei: intellettuali, giornalisti, impresari, e molti divennero suoi amanti, in genere bianchi (ma anche qui nessuna de Beaumont non pianta nessuna lagna femminista). Fino a diventare, come è noto, spia del controspionaggio francese, e poi anche impegnata nella lotta per i diritti dei neri, al fianco di Martin Luther King. «Si convince di essere una specie di Giovanna d’Arco, nata per salvare la sua gente dall’oppressione». Mangiatrice di uomini, generosa, feroce, di batoste ne prende e ne dà, «lei che aveva sempre conservato la sua irriverenza, e nonostante gli alti e bassi, per sua stessa ammissione, aveva sempre vissuto “scandalosamente felice”». Come tutti i libri della de Beaumont scritto con eleganza e tagliente come una lama, umoristico e tragico, amorevole verso il suo personaggio ma mai agiografica, un altro prezioso tassello nella bibliografia di questa scrittrice adorata oltre che da me (e da molti altri scrittori) anche da Alberto Arbasino, e di cui si apprende dal risvolto di copertina che «ha lavorato come ghost-writer». Non si sa di chi, di certo non della Valerio, della Murgia o della Lipperini.
Ultima considerazione: in copertina c’è un ritratto dell’epoca di Joséphine Baker, in topless come sempre e con il suo famoso gonnellino di banane, è del 1929 e l’ha disegnato Paul Colin. Facendo però un errore (come sottolinea pure Gaia): le banane della Baker erano all’insù, mentre Colin, forse per distrazione, le disegnò all’ingiù. Come vorrebbero le femministe di oggi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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